Regia di Paul Verhoeven vedi scheda film
Manager abituata a comandare subisce un'aggressione brutale. Sotto shock, intimorita ma soprattutto desiderosa che la notizia non trapeli, decide di rimanere in silenzio. Ma l'episodio diviene un'ossessione che si trasforma in qualcosa di decisamente diverso. Il thriller erotico da un maestro del genere, che ritorna con la musa ideale, inevitabile.
FESTIVAL DI CANNES 2016 - CONCORSO
Michèle ha preso in pugno la vita - dopo uno sconcertante e macabro episodio di cronaca che la vide inconsapevolmente coinvolta ancora bambina assieme alla follia omicida paterna - e la dirige secondo il suo innato senso di organizzazione e di comando: non solo la sua, ma anche quella di chi in qualche modo incrocia il suo cammino: un figlio capriccioso, sciocco ed ingenuo, con progetti ed orgogli di indipendenza che lo fanno cedere a pesanti compromessi, la di lei compagna, persino il suo ex marito. Per non parlare dello stuolo di ragazzi programmatori ed informatici che le gravitano attorno, dirigendo la donna un reparto di ricerca per nuovi videogames di massa.
Un giorno la donna viene aggredita brutalmente in casa da un uomo mascherato, che ne abusa sessualmente e scappa via. Unico testimone: il suo brllissimo ma omertoso gattone grigio.
Sconvolta ma decisa a lasciar correre, a non divulgare la notizia, a non avvisare le autorità, Michèle si sforza di tornare all'affanno e alla grinta dei ritmi di lavoro quotidiani. Ma quell'episodio, che la repelle ma anche sottilmente la attira, ha modificato indelebilmente il senso che fino ad ora attribuiva alla propria esistenza, alla propria soddisfazione sessuale, ed il suo ruolo di perno su tutta una serie di altre esitenze satellite finisce per perdere il baricentro, divenendo sempre più dipendente da quell'azione deprecabile solo sulla carta, a titolo teorico.
Inutile cercare di dire o rivelare di più, a costo di togliere mordente e sorprese ad un thriller sofosticato, multisfaccettato, denso di personaggi anche minori, ognuno tuttavia indispensabile in quanto animato da frenesie e turbamenti caratteriali che li rendono contemporaneamente vittime e persecutori.
Ma Elle, che vede tornare in regia dopo alcuni anni il noto autore Paul Verhoeven, questa volta coinvolto in una produzione tutta francese, convince molto, persino diverte con la sua ironia sfrontata e per la caricaturale postura con cui spesso finisce per comprare molti dei personaggi che ruotano attorno alla protagonista. E sono i maschi, in generale, quello che ne escono davvero a pezzi.
Un film sofisticato diretto molto bene, che entra brutalmente subito al centro dell'azione facendoci subire brutalmente e senza preavviso la scena centrale dello stupro, per poi rielaborarne con calma le dinamiche e le sfaccettature.
Quasi inutile affermare che tutto ciò che non ruota sulla calibrata e tecnicamente ammirabile regia del grande cineasta olandese, rientra nel merito e nella presenza magnetica di Isabelle Huppert, un'attrice ormai in grado di fagocitare le pellicole che interpreta, nel bene spesso, ma anche con qualche limite.
Una parte irresistibilmente nelle corde della straordinaria attrice, che qui si dimostra enorme, gigantesca, in netta antitesi con la sua minuta ma ancora assai tonica struttura corporale.
E proprio mentre un celebre periodico di cinema francese come Première le dedica la copertina e riflette su oltre trentacinque anni di carriera da quella "Ella" de I cancelli del cielo, a questa "Elle" del thriller di Verhoeven, non possiamo non notare come da una parte l'attrice, cattivissima ora più di sempre, cerchi in tutti i modi di intraprendere strade le più differenti: accettando ruoli in giro per il mondo e girando anche l'est asiatico (ha lavorato di recente con Brillante Mendoza e Hong Sang Soo con risultati buoni o quantomeno curiosi), ma in fondo interpretando quasi sempre un pò lo stesso personaggio di donna nevrotica, instabile, determnata, pericolosa ed in pericolo.
Questa Michèle non si discosta da certi personaggi esemplari di Chabrol, di Haneke, e dei molti registi che hanno fatto l'impossibile per averla, essendo lei donna caratterialmente non molto dissimile, quanto a determinazione, dal personaggio che in qualche modo essa porta avanti quasi in ogni sua occasione ed avventura coinematografica.
Ma questa "Elle" vince sugli altri petsonaggi paralleli grazie dell'ironia di fondo, la stessa che rende il thriller godibile e mai a rischio goffaggine.
E quest'anno, giunta al record della ventesima presenza a Cannes in Concorso (per non parlare di tutte le altre volte che ha partecipato alle altre sezioni collaterali, quasi ogni anno da quarant'anni) ecco che l'icona francerse torna con un personaggio potentissimo, che si aggiunge agli altri esemplarmente resi lungo tutta una carriera unica, ma che tuttavia nulla di veramente nuovo aggiunge ad un'attrice che ci sorprenderebbe di più a questo punto interpretando un personaggio pacato, calmo, riflessivo: non necessariamente una suora (con Brillante Mendoza era una missionaria laica ma rimaneva pur sempre una nevrotica Huppert a combattere contro qualcosa molto più grande di lei).
Quanto a Verhoeven, conferma qui a quasi ottant'anni, la sua verve stilistica, una classe ed un'impronta che lo hanno reso sempre un autore in bilico tra la strada prettamente autoriale (la sua prima, notevole produzione olandese con Il quarto uomo, L'amore e il sangue, Spetters) e la tentazione commerciale, circostanza questa che lo ha reso notissimo e probabilmente ricco, rendendolo genitore di film epocali non proprio o sempre qualitativamente esemplari (ma Robocop e Starship Troophers sono pezzi d'epoca notevoli), ma quasi sempre potenti e ricchi di scene madri che sono passate alla storia (Basic Instinct su tutti: se la Stone è diventata l'ultima diva, il merito è in buona parte del regista e della scena dell'accavallamento delle gambe), oltre che di scult indifendibili come Showgirl, così brutti da divenire materiale morboso da collezione che non si riesce a detestare come meriterebbe.
Un film notevole insomma, costruito con cura grazie ad una sceneggiatura di ferro, sofisticata, molto attenta a lavorare sui caratteri e le psicosi che si celano dietro gli insospettabili elementi "bene" della società,.
Un film che è figlio legittimo (con esplicito parallelo al figlio nero tutt'altro che legittimo, partorito dalla compagna del figlio ingenuo della nostra protagonista - scena del parto irresistibilmente divertente, con l'amico nero del figlio che nicchia orgogluoso di spalle a tutti i presenti) di un grande regista e forte di una grande attrice che se ne impossessa.
Ma c'è anche un cast di contorno comunque notevole e determinante ai fini della storia, almeno in via strettamente teorica, che impedisce alle due icone di cui sopra di fagocitare prepotentemente il film nel suo complesso, evitando di sottomettere eccessivamente la vicenda alla potenza e al carattere esuberante e schiacciante dei due colossi qui sopra.
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