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Cosmos

Regia di Andrzej Zulawski vedi scheda film

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Badu D Shinya Lynch

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La recensione su Cosmos

di Badu D Shinya Lynch
9 stelle

Non c'è nient'altro da vedere.

 

locandina

Cosmos (2015): locandina

 

Cosmos è l'ultimo spasmo, l'ultimo sforzo di quel Caos che concerne l'intera poetica zulawskiana; quindi, proprio per tali ragioni, questo Caos risulta essere teso, in costante trazione. Ecco perchè si potrebbe definire Cosmos come il film più contratto di Andrzej Zulawski, nonché la sua opera più esaurita e sfiancata.

Vi sono due aspetti contrastanti nella suddetta opera: uno è quello mentale e l'altro è quello fisico. Per quanto riguarda il primo, l'ultimo lavoro del regista polacco lo si potrebbe etichettare come il suo lungometraggio mentale per antonomasia, in cui si procede per simboli e proiezioni cerebrali, di conseguenza un film "mentalmente possibile"; da un punto di vista fisico, invece, risulta essere una pellicola impossibile e paradossale, in cui il contatto corporeo, a differenza di altri suoi lavori, viene costantemente rimandato, posticipato, ma anche ridicolizzato (la nevrosi definitiva dello slapstick) e, soprattutto, annullato e, per assurdo, "sdoppiato" (si pensi al fatto che nel finale Witold e Lena, in un atto mostrativo volutamente fittizio e artificioso, come se fossero presenti in due (ir)realtà (irrealtà proprio perché qua la relazione carnale è irrealizzabile, non può esistere in un mondo normale, in una coerente e lineare realtà) parallele, si mettono insieme e, comparativamente, si lasciano). Ed è con questo "ostentato" escamotage che, appunto, la fisicità risulta essere la (vera) finzione cinematografica, doppiamente finta e inattuabile, proprio perché potentemente cinematografica, che, per altro, si dischiude in tutta la sua impossibilità attraverso un non-bacio presente nel sottofinale (ecco, ancora, Witold e Lena: gli ultimi simulacri del Cinema, rappresentanti della settima arte) Un film, quindi, "fisicamente impossibile".

Pocanzi, si scriveva "la sua opera più sfiancata" proprio per il fatto che, in Cosmos, è come se si cercasse di riordinare il caos, di dargli costantemente un ordine, ossia un (improbabile) senso, attraverso un tentativo finale ed esasperato. Ecco perché questo Caos, come scritto all'inizio della recensione, risulta ancora più teso e tirato. Il punto d'arrivo di esso, appunto. Quindi sfinito e contratto, come un muscolo cinematografico che giunge alla sua massima e definitiva tensione.

Checché se ne dica, per chi scrive, l'ultimo lavoro del filmaker polacco non è un film testamentario, ma, piuttosto, una pellicola premonitrice e quindi intuitiva. Una sorta di metasintesi intuizionale di tutto il suo Cinema.

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