Regia di Isaki Lacuesta, Isa Campo vedi scheda film
Uno dei più interessanti registi spagnoli, Isaki Lacuesta, qui in coppia con Isa Campo, dopo aver convinto la critica con il docufilm La leyenda del tiempo (2006), dove tra documentario e finzione narrava la vita del celebre Camarón de la Isla, che replicherà nel 2017 con Entre dos aguas, e dopo aver sperimentato con successo l’esperpento con la chiassosa commedia pulp Murieron por encima de sus posibilidades (2014), firma nuovamente un’opera di grande rigore professionale, solidamente contestualizzata nel suo genere, il melodramma, direi anche almodovariano senza esserlo nei suoi codici estetici più basici, anzi, il linguaggio e le scelte visive di Lacuesta sono esattamente all’opposto. A garantire all’opera la suggestione melodrammatica vincente c’è Emma Suárez, attrice di ottima tempra e gran mestiere, premiata ai Goya 2017 sia per Julieta (2016, miglior attrice protagonista) sia per La propera pell (miglior attrice non protagonista), e volto tra i più apprezzati dalla critica fin dagli inizi degli anni novanta.
Ma il successo del film è dovuto soprattutto a Álex Monner, attore barcellonese, classe 1995, che al suo terzo film, Els nens salvatges (2012, Los niños salvajes), conquista pubblico, critica e diversi premi per questa interpretazione, iniziando un’interessante carriera. L’aspetto sorprendente di Monner è la capacità, tipica degli attori più giovani, di sentire sulla propria pelle le storie che raccontano attraverso i loro personaggi e di conseguenza anche attraverso il loro corpo. Il gioco mimetico degli attori adolescenziali porta spesso e volentieri a vette attoriali poi non più raggiunte. In particolare, Monner sottrae molto, lasciando lavorare in basso continuo la febbrilità del suo personaggio, fino alle esplosioni istintive e perfettamente sentite. Dalla sua ha un’ottima voce, strana, quasi afona, una modulazione vocale che non facilita l’ascolto, ma che aiuta col tempo a identificare il personaggio, e quindi poi anche l’attore, grazie all’uso della voce. Peccato la mancata candidatura ai Goya 2017, data quasi per scontata dagli addetti ai lavori e che, in caso di vittoria, avrebbe potuto rivelare al mondo cinematografico spagnolo la potenza di una nuova generazione di giovani attori di grande talento, come il vincitore del Goya 2016, Miguel Herrán.
La storia di perdita, ritrovamento e di nuovo inizio che vive letteralmente sulla propria pelle il protagonista, sua madre, la Suárez, e il fratello del padre morto, lo zio interpretato da Sergi López, viene efficacemente raccontata attraverso i segni di una natura ostile e di luoghi antropici marginali, desolati e desolanti. Torna l’animalesco, come primo referente popolare, insuperabile in efficacia rappresentativa; così come le gelide montagne che avvolgono il paesino in cui vive il protagonista con sua madre, i Pirenei aragonesi, sono lo scenario quasi dantesco a misteri, tragedie e segreti occultati dall’istinto di sopravvivenza dell’essere umano; allo stesso modo l’albergo con annesso campeggio in cui vive e lavora il burbero zio Enric, è un non-luogo dove convogliano rancori, meschinità e slanci omoerotici adolescenziali tra i due cugini.
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