Regia di Natalie Portman vedi scheda film
"Mia madre è morta quando aveva 38 anni. Ora sono così vecchio che potrei essere suo padre...".
Con queste parole si apre il film di e con Natalie Portman, e già hanno detto tutto. Il ricordo agrodolce e tormentato di un figlio che in tenera età, ai tempi del mandato britannico in Palestina non è stato in grado di salvare la madre da quella brutta bestia che è la depressione, nonostante l'enorme desiderio di protezione che nutriva nei suoi confronti.
Magnifico! E lo sapevo, ormai sta iniziando a diventare una garanzia. Quando un attore si trova ad affrontare la sua prima regia e a dirigere se stesso, magari per senso del pudore o per dissimulata modestia, forte dell'influenza dei numerosi maestri con cui ha lavorato tende a dimostrare un accorato gusto per l'innovazione sperimentale, a mettersi in disparte e a rendere protagonisti dell'opera elementi cinematografici come il montaggio, la regia, il ritmo, la sceneggiatura. Così è stato per Joseph Gordon Levitt con "Don Jon", ma anche Clooney con "Le Idi di Marzo" e "Confessioni di una mente pericolosa", Affleck con "Argo"... E anche Natalie Portman supera a pieni voti la prova dimostrando di non essere solo brava e bella, ma anche di avere un ottimo gusto per l'inquadratura e un propensione alla narrazione straordinariamente sensibile e poetica che fa solo sperare che torni al più presto dietro la macchina da presa.
Il film alterna in maniera arbitraria ma organica molteplici livelli temporali (prima, durante e dopo la depressione) incorniciati dal volto di un uomo anziano (il bambino ai giorni nostri) che con nostalgia ricorda i giorni della gioventù, quando la madre era ancora in vita. Ciò garantisce alla Portman una libertà creativa sorprendete e molto prolifica, che le consente di costruire delle atmosfere nostalgiche e malinconiche attraverso una stupenda fotografia desaturata e rallenti di certi dettagli impressi nella memoria del narratore, oltre a un montaggio "libero" che segue il ritmo dei ricordi.
Come se non bastasse, il film è corredato anche da un'antologia di brevi racconti allegorici che il personaggio della Portman è solito raccontare al figlio, in cui quest'ultimo si immagina sempre di esserne il protagonista insieme all'adorata madre. Costumi e scenografia contribuiscono ad un'accorata ed emozionante ricostruzione storica di Tel Aviv, che insieme ad un'azzeccatissima colonna sonora permettono di goderci la magia di una Israele che troppo raramente riusciamo a vedere sul grande schermo.
Applausi fino a scorticarsi le mani a fine proiezione a Cannes per una delle pellicole più sorprendenti della kermesse. Peccato che fosse solo uno special screening fuori concorso, meritava di rientrare nella selezione di una delle categorie competitive.
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