Regia di Eric Cherrière vedi scheda film
Un dramma dalle tinte sconsolanti, che ruota attorno alla mente malata di un serial killer. Viaggio senza ritorno, con biglietto di sola andata, nelle più nere e profonde tenebre dell'animo umano. Potente, tanto quanto il Maniac di William Lustig. Non per tutti.
Tolosa, Francia. Pierre Tardieu (Jean-Jacques Lelté), uomo di mezza età, sopravvive di espedienti tra un lavoro interinale ed un altro precario. Non è sposato, né fidanzato. Non ha figli. Abita con il padre Gabriel (Maurice Poli), ormai incosciente, reso un'automa dall'avanzamento dell'Alzheimer. I bei momenti li trova solo nei ricordi dell'infanzia, pensando alla madre scomparsa, perché da oltre dieci anni, assieme al declino psicologico con cui -quotidianamente- deve fare i conti, si aggiunge una seconda personalità. Segue ignari passanti, ne studia le abitudini, per poi farne prigionieri da tormentare sino alla morte, utilizzando un vecchio rifugio di guerra costruito dal nonno. Una donna catturata in un parcheggio sotterraneo (Sylvie) e un ragazzo che sta festeggiando l'addio al celibato (Hugo) -e tutti i presenti in un'azione spericolata- sono le più recenti vittime. Non c'è un movente, non c'è una scintilla scatenante: uccide per il piacere di uccidere. Così ha iniziato, di notte, con uno sconosciuto incrociato sopra un ponte e pugnalato a morte, che -sue testuali parole- "se avesse camminato sull'altro lato, oggi sarebbe ancora vivo". Poi incontra Laure (Magali Moreau) e scopre che non è mai troppo tardi per amare. Combattuto tra istinto selvaggio e desiderio di essere fermato, lascia sul luogo dell'ultimo crimine pezzi delle carte di identità di decine di vittime. La polizia francese, adesso, sa che quelle persone non sono scomparse, ma sono state uccise da un serial killer.
"Tolosa è una piccola città, dopotutto. Vediamo sempre le stesse facce, le stesse persone. Ci si vede invecchiare e non ci si saluta nemmeno (...) È la prima volta che passo il mio compleanno con una donna. Compio quarant'anni." (Pierre rivolto a Sylvie, vittima incatenata)
"Perché ti senti così vivo solo quando guardi negli occhi delle vittime? Uccidere le persone senza motivo, essendo l'unico a saperlo." (Pierre, quando parla a se stesso)
"Sylvie Destrulle è morta alle 5.27 di domenica 11 Ottobre. Alla fine, il suo corpo si è irrigidito. Poi ha avuto scosse con spasmi. Ti sei piegato su di lei. Hai osservato il suo sguardo: ha capito che stava per morire." (Appunti, dai quaderni di un serial killer)
Nella Francia degli ultimi anni svariati registi hanno affrontato, senza peli sullo stomaco, l'horror più esplicito che si sia mai visto. La causa scatenante di questa nuova corrente era nascosta tra i fotogrammi insanguinati del suggestivo Haute tension, frutto di Alexandre Aja, e degli artigianali spfx del nostro Giannetto De Rossi, regista poi di nuovo su un set per un altro "torture porn" impressionante: il remake di Le colline hanno gli occhi. Seguono Frontiers, Inside, Martyrs (del 2008, non il remake). La risposta alla Francia arriva in tempi brevissimi, e da ogni parte del mondo (tra i primi Eli Roth con Hostel, titolo sponsorizzato nientemeno che da Quentin Tarantino) e viene coniata una nuova definizione, attribuita ai cineasti più attivi sul versante della violenza più esplicita raggruppati sotto la corrente definita "splat-pack". In questo periodo, con fermento produttivo di opere viscerali ed estreme, esordisce sulla scena anche Eric Cherrière con questo Cruel. Una premessa lunga forse, ma necessaria per contestualizzare un lavoro che si discosta -a dispetto del luogo di origine, del momento e del titolo stesso- dalla più conforme e ormai declinante (nel 2014) corrente splatter. Paradossalmente la scelta intrapresa da Cherrière va controtendenza: gli omicidi non vengono messi in scena, perlomeno non in maniera esplicita. Il gore è limitato e l'azione diluita in un tipo di storia -che è poi una lunga confessione- oscillante tra dramma, melodramma e thriller. La colonna sonora, dolce e romantica, contrasta con il contenuto. Gli interpreti sono convincenti, con a capo lo strepitoso Jean-Jacques Lelté, volto e fisico in ruolo per un personaggio sempre in bilico tra bene e male, come un novello Jekyll & Hyde. La regia appare curata e in grado di creare una discreta dose di tensione, nel pieno rispetto dei paradigmi del genere. Ma su tutto predomina un clima di malsana perdizione, data da una sceneggiatura matematica e logica, pur nella follia delle intenzioni che muovono una mente malata, sulla via della redenzione troppo tardi, quando scopre di potere anche amare. L'effetto prodotto dalla visione di Cruel -film che fa tremare i polsi per come si immerge nelle tenebre dell'animo umano- è paragonabile solo a quanto provato di fronte al Maniac di William Lustig. Anche qui, sullo schermo, due eterni rivali combattono dentro una mente schizofrenica: Amore (mirato) e Odio (indiscriminato). Due facce di una stessa medaglia. Due diversi effetti di una medesima forza motrice che emerge ora dagli abissi, quando non scende dall'alto dei cieli. È questo registro che fa paura, perché fa pensare, perché umanizza un mostro. Una bestia. Una bestia che -tradizione vuole- solo e soltanto la bella può uccidere. Per amore... uccidere, solo e soltanto, per amore.
"Sei triste dentro", sussurra Laure a Pierre. Il sesto senso femminile, arriva a scoprire cosa si nasconde in fondo al cuore.
Regole dell'assassino
Maniaco dei dettagli, Pierre annota sui suoi quaderni nomi, date, ore, luoghi. Scrive in terza persona, dialoga con se stesso. Non ha amici. Non ha legami sentimentali. Il gelo custodisce un cuore di pietra. Ma anche il cervello, meccanicamente attivo, rifugge dalla follia pura cercando regole anche in un'attività irrazionale quale quella del delitto fine a se stesso. Ecco allora la tavola della legge, scritta da un assassino:
Regola n. 1: non ucciderai mai d'impulso.
Regola n. 2: pianificherai il rapimento, come un'operazione militare.
Regola n. 3: non utilizzerai mai la stessa arma.
Regola n. 4: non ucciderai mai qualcuno che conosci.
Regola n. 5: osserverai le abitudini della tua vittima.
Regola n. 6: non conserverai nulla della tua vittima, eccetto la carta d'identità.
Regola n. 7: fai sparire i corpi. Nessun corpo, nessun omicidio. Nessun omicidio, nessuna indagine.
Regola n. 8: ucciderai gli adulti senza distinzione d'età, sesso o razza.
Regola n. 9: non avrai amici, nessun sentimentalismo.
Regola n. 10: pagherai tutto in tempo e osserverai i limiti di velocità. Sarai trasparente.
Non avere paura di papà Gabriel
Torna sul set, in occasione di questo Cruel, Maurice Poli, un caratterista spesso presente nelle pellicole italiane del passato. Solitamente ingaggiato in ruoli di contorno ma che hanno sempre lasciato il segno seppure in pellicole del cinema bis. Presenza costante lungo il percorso dei generi, sui sets di Fulci, di Schicchi, di Massaccesi e -più indietro nel tempo- di Mario Bava (tra le sue migliori interpretazioni, proprio Cani arrabbiati). Molti lo ricorderanno per aver preso parte alla serie TV Lucio Fulci presenta. Infatti il miglior film del lotto (Non avere paura della zia Marta) è quello nel quale presta il suo volto sconvolto nei panni di folle e sanguinario giardiniere "vendicatore", che si prende cura del cadavere in putrefazione di Marta (la zia del titolo). In Cruel interpreta il malinconico e compassionevole anziano genitore del killer, agendo in una parte difficilissima: immobile, bloccato da una malattia invalidante, muto testimone (inconsapevole?) delle dichiarazioni del figlio, il quale liberamente racconta nei dettagli tutti i segreti che nasconde... oltre la cantina.
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