Regia di Roger Corman vedi scheda film
Accantonate per un attimo le atmosfere gotiche di Poe, Corman si cimenta con una delle tematiche classiche dell'horror tradizionale: il dibattito etico sui limiti della ricerca scientifica. Quello, per intenderci, dei baroni Frankenstein, delle Iene e degli Uomini Invisibili, il cui esergo potrebbe essere, "aggiustando" un po' Goya: il delirio della scienza genera mostri. Corman affronta il tema da par suo, sopperendo alla mancanza di budget con le trovate visivo-narrative. In mano sua la stanzetta con quattro alambicchi e tre lucette colorate diventa un laboratorio all'avanguardia e il semplice espediente di sovrapporre due immagini si rivela il più sofisticato degli effetti speciali. Incantato dalla presenza scenica di Ray Milland, intontito dal ritmo imposto da Corman, che non si dilunga, preferendo piuttosto procedere a strappi e "strattoni", funzionali a un racconto che deve spaventare senza avere altro a disposizione che un paio di lenti a contatto rosse, lo spettatore dimentica plastica e cartapesta e, proprio come il protagonista, finisce con il vedere al di là della superficie. Con una serie di appassionanti macrosequenze, il film inscena con grande efficacia la dannazione di Xavier (da scienziato "ufficiale" a propria cavia; da fenomeno da baraccone a guaritore a baro nei casinò di Las Vegas, fino alla tremenda redenzione finale sotto il tendone del predicatore), mettendo a nudo le ambiguità del progresso e giocando di sponda con le tematiche della visione e della cecità. Da riscoprire.
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