Regia di Dziga Vertov vedi scheda film
Quello di Dziga Vertov, il teorico del cineocchio (kinoglaz), dové apparire, al momento della sua uscita, un film veramente rivoluzionario, probabilmente più che le coeve opere monumentali di Ejsenstejn e compagnia filmante. Come preannuncia fin dai titoli di testa, L'uomo con la macchina da presa è "un film senza attori" (e, pur essendo un film muto, senza didascalie); ma, allo stesso tempo, non è un documentario. Sullo schermo scorrono le immagini, raccolte appunto da un cineoperatore, impersonato (non interpretato) dal vero operatore alla macchina Michail Kaufman, fratello del regista. E queste immagini scorrono velocissime, andando da pure e semplici sequenze raccolte per le strade di Mosca e sulle spiagge di Odessa, fino a incredibili - almeno per l'epoca - effetti ottici, con grandangoli, sovrapposizioni, sdoppiamenti, accostamenti, tanto che a un certo punto l'operatore esce da un boccale di birra. Oltre a ciò, si deve notare l'abilità con la quale Dziga Vertov riprende le varie attività sportive, dalla pallacanestro al calcio, all'atletica leggera al motociclismo, forse intuendo tra i primi, qualche anno prima di Leni Riefenstahl, le potenzialità spettacolari dell'evento sportivo. Accanto a questa originale idea di cinema di Dziga Vertov, pulsa, più viva che mai, una Mosca che non sembra in procinto di entrare nel lungo incubo staliniano, e che, se non fosse per le scritte in cirillico, si potrebbe scambiare per qualsiasi altra città occidentale. Forse è proprio la commistione tra la libertà anarcoide dello stile di Dziga Vertov (nome d'arte che in ucraino significa vertice rotante) e la vitalità della realtà filmata a Mosca e Odessa (dove si vedono addirittura delle ragazze nude) a comporre la grandezza di questo film breve, ma così importante nella storia del cinema.
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