Regia di Valérie Donzelli vedi scheda film
Per la sua quinta volta da regista di un lungometraggio, la Donzelli decide di attingere dal vasto repertorio dell’aneddotica pruriginosa, di cui i manuali tacciono per pudore ma che è possibile rintracciare in qualsiasi enciclopedia, a patto di avere i riferimenti storici essenziali. Riadattando un copione destinato a Truffaut per un progetto mai compiuto, scritto dal suo sceneggiatore di fiducia Jean Gruault (a cui il film è dedicato), vi si narra dell’amore proibito tra fratello e sorella, giovani amanti di nobile rango: fin da piccoli molto uniti, il casto sentimento fanciullesco, crescendo, da più che fraterno divampò in passione dei sensi, suscitando scandalo in ambito aristocratico e non solo. La famiglia, inorridita di fronte a tale oscenità, cercò di separare con la forza i due peccatori, combinando per lei un matrimonio riparatore e mandando lui in giro per l’Europa per motivi di studio; nella vana speranza di mettere a tacere i pettegolezzi che ormai erano accertati. Ma ciò non servì affatto allo scopo, anzi rafforzò ulteriormente questo amore malato, dal quale i due colpevoli di incesto proveranno disperatamente a liberarsi.
Purtroppo il film non convince del tutto, saturo di quanto visto ed evidentemente amato dall’autrice: effetto iris, tableaux vivants, numerosi quanto spericolati richiami al grande cinema d’Oltralpe e d’oltreoceano. Una spiegazione a questo sovraccarico formale e di contenuto la si trova nei credits, dove leggiamo il nome dell’interprete maschile come collaboratore sia di sceneggiatura che di regia. Parte della responsabilità sull’esito incerto del film può forse essere attribuita anche a un eccesso di presenza in altri reparti dell’attore protagonista.
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