Regia di Philippe Garrel vedi scheda film
Può sembrare assurdo, ma ho qualche difficoltà nel decidere se questo film mi sia piaciuto o no. La sceneggiatura, pur avvalendosi di firme prestigiose come quelle di Jean-Claude Carrière e Arlette Langsmann, nonché dello stesso regista, è piuttosto scarna e lineare, corretta ma senza guizzi. D’altronde, si tratta di raccontare un intreccio amoroso come tanti tra un uomo e una donna con annessi amanti. La coppia iniziale prevarrà. Altrettanto posso dire della regia: accurata, certo, ma volutamente poco originale. Lo stesso Philippe Garrel non fa mistero di ispirarsi a Jean-Luc Godard, del quale si dichiara apertamente discepolo. Ecco il punto: ha senso voler aderire ai canoni della “Nouvelle Vague” a oltre mezzo secolo di distanza? E, soprattutto, è possibile farlo? Il bianco e nero di questa pellicola costituisce forse un atto di fedeltà ai primi film dei vari Godard e Truffaut, ma si tratta di un bianco e nero che definirei “patinato”, un bianco e nero di lusso rispetto alle riprese pionieristiche di un’epoca remota. Nonostante questi elementi che mi hanno spiazzato, riconosco di aver seguito con interesse una vicenda raccontata attraverso dialoghi di notevole ma accessibile profondità. Le diversità psicologiche tra uomini e donne di fronte a temi quali le relazioni amorose, la sessualità e il tradimento vengono descritte senza avanzare ipotesi interpretative. Più che asserire, sia la coppia che i rispettivi amanti dubitano, s’interrogano e si muovono lontano da qualsivoglia certezza. Questa costante indecisione contamina disgraziatamente l’andamento generale del film, dando luogo ad alcune lungaggini, con inquadrature fisse e senza parole, qualche tempo morto e sequenze che si sarebbero potute accorciare. Fortunatamente, la pellicola dura poco più di un’ora e non lascia alla noia il tempo di installarsi. Tra gli interpreti, nessuno dei quali demerita, mi hanno colpito per l’ennesima volta la bravura, la particolare espressività e l’innata eleganza di Clotilde Courau, che mi folgorò una ventina di anni orsono con l’ottimo “Elisa” di Jean Becker, poi con “Baciate chi vi pare” di Michel Blanc (2001) e, più recentemente con “Non ci posso credere” di Philippe Claudel (2011) e “96 heures” di Frédéric Schoendoerffer (2014).
"L'ombre des femmes" è un film di non facile lettura a dispetto di una trama tutt’altro che complicata. Posso comprendere che abbia infastidito gli amanti più puristi della “Nouvelle Vague”, ma capisco anche il plauso da parte della critica d’Oltralpe, in particolare della stampa che un tempo si definiva “di sinistra”.
Annotazione finale: perché per il pubblico italiano il titolo di un film francese viene tradotto in inglese? Provincialismo? Snobismo?
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