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L'uomo che visse nel futuro

Regia di George Pal vedi scheda film

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La recensione su L'uomo che visse nel futuro

di Stefano L
7 stelle

The Time Machine (1960) - Moria

 

Seguendo la moda sci-fi di successo, George Pal nel ‘59 si è cimentato in questo adattamento del romanzo di HG Wells “The Time Machine”. La trama raccontava per la prima volta sul grande schermo le gesta dell’inventore George Wells (l’australiano Rod Taylor), il quale, mettendo a punto un meccanismo che assemblava una sorta di carrozza con un paralume rotante, si sposta in un futuro lontano ben ottomila e passa anni (dopo aver effettuato delle soste, di cui una in un 1966 in piena guerra nucleare). Arrivato a destinazione scopre due tribù: gli Eloi, un popolo pacifico, innocente, passivo, mite, compiaciuto del suo apparente stato di tranquillità, e privo di ogni tendenza che riguardi una coesione collettiva; a braccarli, però, intervengono i mostruosi Morlocks, ovvero orribili esseri primitivi che vivono nei sotterranei. Approfittano dell’ignoranza e l’apatia degli umani in modo da piegarli al loro volere. Questo tribolato spaccato tra gli oppressori e gli abitanti asserviti ha avuto differenti interpretazioni: gli Eloi potrebbero discendere dalle classi benestanti e svogliate, le quali nel corso dei secoli si sono fatte assoggettare da una specie dominatrice. In questo senso Wells assomiglia alla figura di un colonialista europeo propenso a salvare un gruppo di "selvaggi" da un’esistenza condannata. Secondo alcuni critici viene invece rappresentata l’ottica dispotica di Wells nei confronti di un processo di modernizzazione che avrebbe portato a una devoluzione antropologica. George infatti rimane deluso nell’apprendere un pervasivo degrado morale e intellettuale. Tenterà di frenare quell’atteggiamento individualista non solo incitando gli Eloi a reagire fisicamente ma anche trasmettendo le nozioni attinenti alle discipline filosofiche. Questa linea narrativa basilare propone un ingranaggio che, al netto delle smagliature, sciorina, con una lirica ragguardevole, delle sequenze memorabili. Una fusione ammaliante di azione, romanticismo e sontuosi temi orchestrali (ad opera di Russell Garcia). Lo stop-motion sottolinea lo sbocciare ed appassire dei fiori o il deterioramento dei corpi, ed è tuttora un guizzo artistico seducente. Altre tecniche, quale il matte painting visibile o l’artigianalità dei costumi (i Morlocks comunque rimangono inquietanti!) denotano una certa età; ciononostante i veri difetti di “The Time Machine” si avvertono in realtà in qualche faciloneria di troppo nella scrittura: non è molto plausibile che gli Eloi parlino una lingua simile a quella di George in un’era così remota, mentre il funzionamento degli anelli animati doveva avere un approfondimento maggiore. Fortunatamente Taylor si rivela un protagonista carismatico, accattivante, e la chimica con la graziosa “Weena” (la bellissima Yvette Mimieux) è mantenuta con delicatezza, non protraendosi in qualcosa di fastidiosamente melense. Da ammirare inoltre la poliedricità di Alan Young nel doppio ruolo di David e James Filby (padre e figlio in epoche diverse). La forza visionaria del film batte la “prova del tempo”: diletta lo spettatore con un intrattenimento di qualità che stimola ancora l’immaginazione.

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