Regia di John Ford vedi scheda film
Quando scendi dal treno, quel treno che si ferma alla stazione nei primi minuti del film, percepisci immediatamente l’aria di nostalgia che pervade la storia. Il senatore Stoddard ha i capelli bianchi e qualche scheletro nell’armadio ormai fin troppo impolverato; sua moglie è la maschera del dolore, e si scioglie quando l’ex sceriffo del posto l’accompagna a vedere il luogo in cui un tempo crescevano i fiori di cactus. Poi entriamo nel vero racconto, e finiamo in un altro mondo, in un’altra epoca: il West, in cui il giovane Stoddard arriva per fare esperienza, imbattendosi nel fuorilegge Valance e nel carismatico Tom, che si fa giustizia da solo perché in quei luoghi funziona così.
E il racconto è un’elegia sconsolata e disperata su qualcosa di irriproducibile e lontano, pervaso della nostalgia dei tempi andati, ancor più contraddistinto di un tono crepuscolare proprio perché riesce a fotografare la fine di una storia. John Ford, sessantenne inoltrato, sa di cosa parla, e si rende conto che la Monument Valley è diventata troppo grande per il cinema degli anni sessanta: il suo film è un outsider, un’opera che propone un’idea-altra di cinema forse irrealizzabile da chi non ha vissuto l’età d’oro del genere, e soprattutto la celebrazione del cinema classico che riesce ad essere il tramite con il rinnovamento del decennio (Peckinpah l’avrà a mente).
È un film che dichiara i propri intenti orgogliosamente e vivamente anacronistici in ogni angolo dello schermo, abitati dall’attore più duttile e trasversale del cinema classico americano (lo splendido James Stewart che, col bagaglio di Capra ed Hitchcock, è naturalmente capace di calarsi nei panni ambigui di un buono che ha costruito la sua fortuna su un atto violento che però negli Stati Uniti è l’apice della giustizia) e dall’attore più iconico e legato ad un genere del cinema classico americano (il grande John Wayne che ripropone se stesso senza mai minimante scadere nella ripetitività, impersonando l’altro personaggio buono della vicenda condannato ad interpretare il ruolo di colui che esercita la violenza e non può manifestare le proprie sensibilità): un racconto morale che parla dei misteri dell’immoralità, di violenza attraverso il rifiuto che diventa accettazione e viceversa (Liberty Valance è un personaggio disgustoso ed è l’unico a non essere ambiguo, come se si voglia dare almeno una certezza nel disegno della crudeltà), della decadenza di una politica nascente che ha sbagliato a costruire la nazione sin dai suoi primi anni di vita.
È anche della leggenda che deve necessariamente occupare il posto della verità nella storia, perché nel West(ern) funziona così. Un film d’altri tempi, fuori tempo, senza tempo. Ed è pure un film d'amore, perché alla fine tutto si fa per una donna.
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