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L'uomo che uccise Liberty Valance

Regia di John Ford vedi scheda film

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La recensione su L'uomo che uccise Liberty Valance

di Fabelman
10 stelle

Intima e nostalgica analisi di quella fetta d’America che ha dovuto soccombere al cambiamento, un’America che John Ford ha amato, narrato e accompagnato fino al suo inevitabile crepuscolo. E che ha contribuito a far diventare leggenda! (Che è meglio della realtà)

Se “Ombre rosse” è probabilmente il miglior film western diretto da John Ford, quello più iconico, emblematico, rappresentativo ed esaustivo, “L’uomo che uccise Liberty Valance” è probabilmente il suo miglior film in senso assoluto, trascendendo dal senso più stretto del genere western per collocarlo e individuarlo in un’ottica più trasversale e multidirezionale. Questo straordinario capolavoro sui generis è intriso di tematiche (si sfiora finanche il razzismo nei confronti delle persone di colore) e generi, andando dal sentimentale al drammatico, dal western puro ad una sua versione atipica a tinte noir, e per finire si va sullo storico/legale. Il tutto scorre sui binari di una sceneggiatura a dir poco pregevole basata su un racconto di Dorothy M. Johnson, il tutto osservato e catalizzato da un obiettivo capace di offrire una profonda, nitida, epica e intima resa in bianco e nero. Tale scelta contribuisce a rendere il tenore della pellicola, gli eventi si svolgono principalmente in spazi chiusi, la camera sembra camminare con passo pesante mentre sacrifica pressoché del tutto l’ambientazione, si lavora in piano (primo e primissimo) escludendo i campi, il piatto forte della iconografia fordiana. Niente Monument Valley o scorazzate a cavallo, ma sorprendenti toni claustrofobici e strozzati. La trama si svolge a cavallo sì, ma di una sottile linea di demarcazione, quella attraversata dal selvaggio, rozzo, villano, sanguinario west verso un’inevitabile influenza/intrusione del vento culturale/politico/sociale che soffia con sempre più preponderanza da est. Per quanto il cambiamento culturale sia auspicato e inevitabile, quel clima di affascinante inquietudine e senso di avventura viene rimpianto, l’avvento della ferrovia con tutti i progressi offerti vengono salutati quasi con riluttanza, con fare nostalgico, col groppone in gola. Questo è il sentimento che muove, ispira e conduce questa epopea a ritroso e contro-canonica durante la quale la pistola viene sostituita da un libro di diritto, i duelli dalle strade polverose si spostano nelle sedi istituzionali, gli eroi da pistoleri e cowboy assumono le sembianze di giuristi e politici. Con l’espediente del flashback, in occasione del funerale di un certo Tom Doniphon, i protagonisti ripercorrono gli eventi di un disagiato ma quantomai rimpianto tempo che fu, scambierebbero di fatti volentieri gli agi e i successi ottenuti pur di riassaporare quel clima leggendario del caro vecchio west. Con lo scopo di narrare i fatti alla curiosa redazione del giornale “Shinbone Star”, il senatore Ransom Stoddard svela ciò che lo lega a questo caro amico defunto, un racconto dove la leggenda si capovolgerà in realtà, una leggenda che verrà scelta e rivendicata a discapito della realtà. John Wayne interpreta Tom Doniphon mentre è James Stewart a indossare le vesti di Ransom Stoddard, il primo è il perfetto esemplare dell’uomo da vecchio west, il secondo è il giovane laureato promotore del diritto e del vivere civile, il primo impugna la pistola, il secondo i libri di legge. Entrambi uomini votati all’onore e ai valori, stesso fine ma tra le mani posseggono mezzi diversi, due ideologie opposte per il medesimo fine. Li accumunerà l’amore di una donna, Hallie, il cui cuore propende per entrambi, un po’ come propende per la giustizia e la cultura che vengono dall’est e contemporaneamente è ancorata al polveroso, rugginoso west che sente come casa. Liberty Valance, interpretato da Lee Marvin, rappresenta la figura antagonista, criminale, impossibile da sconfiggere se non con una pistola in mano; il giovane Stoddard avrà presto l’occasione di verificare come la stessa arroganza, prepotenza, delinquenza, nelle sedi istituzionali indossa vestiti di gran classe e si riempie la bocca con retorica fatta di linguaggio forbito e lì, in questa nuova sede di duelli, potrà sfoderare il suo amato diritto. Il cambiamento è inevitabile, si passa dalla legge del più forte alla legge stabilita dal diritto, le diligenze si trasformano in comodi vagoni di treno, gli eroi diventano meno epici e più istituzionali, le pallottole lasciano spazio alle parole, ai dibattiti. . .e i saloon diventano ristoranti! John Wayne da vita al personaggio dall’evoluzione più forte, soggetto quanto infine fautore del cambiamento, vero protagonista del film per quanto sembri recitare all’ombra di Stewart, un ruolo crepuscolare appunto ma centrale, irrinunciabile e rimpianto, proprio quanto quel vecchio e caro west. Accompagnato dai suoi irriducibili e ferrei valori, Tom Doniphon fa più di un passo indietro per favorire il giovane Stoddard e garantire la felicità alla donna che ama. La visione che John Ford offre allo spettatore è uno sguardo irrimediabilmente malinconico, con sentimenti di rimpianto per aver scelto di abbracciare la civiltà del lato opposto del continente smettendo di amare per un momento la propria di (in)civiltà, proprio come Hallie si ritrova a compiangere quell’uomo il cui amore non ha corrisposto e di cui ora si riscopre innamorata. Pur non essendo l’ultimo dei suoi lavori, questa pellicola può ben definirsi il film testamento di uno dei più grandi cineasti della storia che, immaginandolo con un sigaro in bocca, esprime tutto tronfio la sua filosofia dicendo: “Se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda.”

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