Regia di Dino Tavella vedi scheda film
Insolito giallo (per l'epoca) ambientato in una Venezia da cartolina, con al centro delle azioni criminose un killer mimetizzato nelle acque lagunari che anticipa, per look e metodo, il poco noto assassino attivo nel thriller olandese Amsterdamned.
A Venezia, nel giro di pochi giorni, scompaiono due ragazze di diciassette e diciotto anni. Mentre la polizia ritiene trattarsi di probabili incidenti e cerca i corpi delle giovani nelle acque della laguna, il giornalista Andrea Rubis (Luigi Martocci) è convinto sia in azione un pericoloso assassino. L'uomo, dopo essere entrato in amicizia con un gruppo di turiste in visita alla città d'arte, contro ogni approvazione e contro le indicazioni del direttore del giornale, prosegue la sua indagine, certo che nelle acque dei canali veneziani si nasconda un passaggio segreto, dal quale emerge in cerca di vittime l'omicida.
Da un soggetto scritto a più mani (in quattro, compreso il regista) Dino Tavella gira un'insolita pellicola, decisamente atipica nella filmografia italiana di metà Anni '60. La tematica è nerissima, centrata sulle azioni di un serial killer che si procura giovani vittime per poi imbalsamarne i corpi da custodire, a mo' di macabra collezione, in un inquietante antro sotterraneo. Anche il destino dei protagonisti -eccezion fatta per il giornalista- si risolve in maniera non convenzionale per l'epoca (con la morte dell'archeologo e della fidanzata di Andrea). Il modus operandi dell'assassino, poi, che agisce indossando muta da sub, emergendo in cerca di vittime dalle acque lagunari, anticipa in maniera non certo casuale Amsterdamned, un lavoro di molti anni successivo, opera olandese a firma di Dick Maas, regista celebre per un film incredibilmente (per quanto insignificante) diventato famoso: L'ascensore.
Fatta questa doverosa premessa, e nel pieno rispetto di un regista sfortunato come Tavella, mancato -stando alle informazioni riportate su imdb- prematuramente a meno di cinquant'anni, va però onestamente aggiunto che questo Il mostro di Venezia resta un film girato male, interpretato con certa improvvisazione da attori poco professionali e con uno sviluppo degli eventi ben poco realistico. Ad esempio, dopo poche ore dalla scomparsa della prima ragazza la polizia deduce (come e perché non è dato sapere) sia affogata; il giornalista, spingendosi oltre, intravede invece essere in atto un assassino, arrivando addirittura a capire che emerge dalle acque. In un momento paradossale poi una turista scopre, armeggiando con un camino, un passaggio segreto. E vai a capire perché il maniaco, ridicolo quando in azione con muta da sub, una volta nell'antro rimuova la tuta per mettere un saio e indossare una maschera da teschio. La collezione delle "giovani bellezze" stona con i resti scheletrici che fanno da contorno ad una scenografia puramente infernale -più da tema horror- probabile intenzione di genere che ha mosso la mano di Tavella (cineasta con un solo altro titolo in curriculum quello stesso anno: Una sporca guerra). Purtroppo, però, deludente appare il risultato finale, sommando anche una colonna sonora con musichetta da commedia e un doppiaggio (il film è stato girato in inglese) delle turiste che parlano con pronuncia alla Stanlio e Ollio. Rimane opera interessante se calata nel contesto del tempo, caratterizzato da ben altro tipo di genere cinematografico praticato in Italia, da ricordare per il coraggio mostrato da Tavella nella scelta di trattare un tema assai più consono allo stile dei varii Bava, Freda o Margheriti.
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