Regia di Jon M. Chu vedi scheda film
Mo' me vedi 2. Purtroppo.
In effetti è tutto un vedere, mostrare, esibire, spiegare, sbattere grossolanamente sullo schermo: ma quale illusione, quali magie, quali trucchi. Il seguito di Now You See Me, successo grande e inspiegabile del 2013, (e)segue prevedibilmente e fedelmente gli stessi passi, la stessa litania grondante tronfio "spettacolo", estetica sovrabbondante, parata di star in vacanza, risibili note narrative dai risibili intenti (figurarsi il pistolotto sui brutti ricchi e potenti).
«C'è sempre più di quanto si veda in superficie», (ci) dice ad un certo punto uno dei personaggi. Come no. Esattamente il contrario, invece.
I "numeri" di magia, tutt'altro che impossibili, geniali, ingegnosi, elaborati o anche solo divertenti (ma magari), seguendo un copione s(t)olido che prevede banali ricalchi da heist movie e puerili piani da chiarire a posteriori (un po' come si farebbe con una barzelletta stupida raccontata a una scimmia ubriaca), si susseguono ripetitivi un livello (d'idiozia) dopo l'altro in cerca dell'effetto. Che non c'è (se non quello di provocare magica noia e irritazione).
Emblematica la sequenza "rutilante" del passaggio del preziosissimo chip inserito in una carta da gioco. Carina per due secondi, poi trascinata, a lungo, tra performance ridicole e movimenti della mdp in casuale schizofrenico moto solo per fare casino, scade nella più becera delle farse.
La farsa, d'altronde, è la dimensione ideale di questa roba, ancor peggiore del primo - e si sperava unico - capitolo.
Beh, ovviamente, ci sono le "novità". Che riguardano solo ed esclusivamente qualche personaggio. O si tratta di mere sostituzioni - Lizzy Caplan (talento brillante e sexy esplosa con Masters of Sex, sprecatissima), nuovo cavaliere, per Isla Fisher, Sanaa Lathan agente dell'FBI al posto di Mélanie Laurent -, con le dinamiche del caso (momenti atti alla presentazione ecc.), o "bizzarri" accorgimenti (Woody Harrelson doppio: gli si vuol bene, eh, ma qui lo prenderesti a cazzotti), o addirittura "cortocircuiti" chissà quanto pensati - e (auto)acclamati («che colpo!», si saranno detti masturbandosi a vicenda di complimenti e occhiate d'intesa) - in sede di pre-produzione. Sì, il riferimento è al "maghetto" per eccellenza, Daniel Radcliffe/Harry Potter, peraltro già speso nei trailer.
Impiegato in una parte non proprio amabile, risulta però alla fine molto meno odioso dei titolari, i quattro cavalieri cui mozzeresti volentieri la testa. A cominciare da Jesse Eisenberg - quando vuole sa essere veramente un coniglio bagnato infilato su per le nobili chiappe - e dall'inutile ma raccomandato Dave Franco.
E se tutti, chi più chi meno (Ruffalo), tendono a stare allegramente sulle magiche balle, e se la sceneggiatura è una scemenza tale che potrebbe ridefinire il termine, e la regia (del mediocre Jon M. Chu in luogo di Louis Leterrier) gode della sua gonfia standardizzazione, allora non c'è illusionismo - per quanto imbellettato, esibito, presentato come "fantastico" - che possa tenere.
Puntuali come sgraditissime tasse arrivano poi il "grandioso" show finale - pieno di effetti "strabilianti" e twist imprevedibili (tipo i brufoli che spuntano dopo aver fatto il pieno di cioccolato, salame e bistecche grondanti grasso) - e il controfinale alla volemose tutti bene (nonché "aperto", per tutti i mentalisti dementi!).
E anche i titoli di coda, fortunatamente.
A ben vedere - senza trucchi di sorta - l'unico gioco di prestigio del film risiede nella capacità degli Studios di fare soldi con cotanto materiale. D'una pochezza disarmante.
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