Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film
Rullo di tamburi e squilli di tromba. L’orchestra di Sir. Alfred Hitchcock suona una sinfonia ridondante, lievemente interrotta da un gong a fare da sottofondo e da uno sbatter di piatti quasi discordante e foriero di allarmanti segni premonitori.
Da Casablanca a Marrakech come a Las Vegas, il paesaggio visitato dalla famiglia McKenna in vacanza sembra lo stesso; siamo in Africa o in America? Il Marocco descritto da Hitchcock è un po’ finto, edulcorato, colorato. D’altronde c’è da comprenderne i motivi: a “Hitch” non interessa evidenziare il realismo di luoghi e situazioni, lui è in cerca di mistero e suspense.
Ecco così che i coniugi McKenna sono in giro per il mondo col loro figlioletto. Il ragazzino, di nome Hank, è perspicace (si vede che è figlio di un medico e di una cantante di teatro, tanto la sua erudizione è in fase avanzata) e scambia battute sagaci sulla geografia, la storia e la medicina con il misterioso Louis Bernard, un signore incontrato per caso su un autobus.
L’arrivo del mezzo di trasporto nel traffico umano delle stradine intasate di Marrakech è un’occasione per mostrare un particolare inconscio che ritornerà in seguito: uno degli uomini nella folla è vestito allo stesso modo (stesso colore, forma e cappuccio) col quale sarà identificato, più tardi, il cadavere di Louis Bernard. Cosa nasconde il passato di quest’uomo? Quale segreto stava portando con se’? Il bambino dei McKenna viene successivamente rapito in circostanze inesplicabili; la pista da seguire porta a Londra e a un certo Sig. Ambrose Chappell…
“L’uomo che sapeva troppo” è l’autoremake dell’omonimo film che Hitchcock aveva già girato nel 1934. Ventidue anni dopo si aggregano al progetto star hollywoodiane di prima grandezza quali James Stewart e Doris Day (nei panni dei coniugi) più il Technicolor; Hitchcock sfida se’ stesso ed è capace di modernizzare e affinare tutte le partiture dei suoi registri filmici all’interno di una traccia apparentemente inalterabile.
In un primo momento, la suspense sta nel non darci abbastanza informazioni sui movimenti e sulle intenzioni del Sig. Bernard, sugli sviluppi che potrebbe prendere una vicenda abbastanza comune per come viene costruita. Come mai la famiglia dei McKenna si trova improvvisamente al centro dell’attenzione e deve sopportare le occhiate di distinti signori in piena Africa del Nord?
Ironia e humour vanno a braccetto, indissolubilmente legate dallo spirito di una sceneggiatura a tratti spumeggiante. La sequenza più divertente, a tal proposito, è quella girata al ristorante. L’abbandonarsi del “dottor Stewart” sul sofà non è proprio dei più disinvolti, tra cuscini che cedono facilmente sotto il suo peso, pose scomposte, torcicolli e inopportune sedute sull’abito della signora.
Lo script arricchisce il film inserendo delle false piste, ed è gradevole lasciarsi prendere un po’ in giro. Il negozio di impagliatori diventa un efficace teatrino per esilaranti tafferugli, tra pesci sega pericolosamente vicini al naso del dottore e denti di leone o di tigre pronti a lasciare il segno. Hitchcock è capace di creare sempre qualcosa di inconsueto.
E qualcosa di singolare è in programma anche alla Royal Albert Hall di Londra; oltre alla sinfonia per orchestra diretta niente meno che da Bernard Herrman in persona (il famoso compositore delle musiche da film) forse c’è da assistere a un assassinio. Durante il concerto si lascia così tanto spazio all’orchestrazione che alcuni dialoghi tra i protagonisti sono muti; questa scelta produce un’ulteriore senso di trepidazione per la sorte della famiglia americana. Le riprese a campo lungo nella sala sono magnifiche ed esaltano la maniacale applicazione di Hitchcock nello studio di ogni singola scena.
Nella prima versione non si notava il volto del suonatore di piatti. In questa, invece, la suspense creata dall’attesa del suono degli strumenti si comunica attraverso l’impassibilità del musicista; la sua indifferenza è importante perché trasmette allo spettatore un’angoscia che si riflette nel fatto di sapere dell’inconsapevole dispositivo letale nelle mani del suonatore. Il regista è riuscito a passare da un’ “impressione” di Cinema (quella che dava nella versione del ’34) a un’altra fatta di “genesi e creazione”.
Ci si domanda perché i coniugi McKenna, a un certo punto, si interessino più all’ “intrigo internazionale” e alle conseguenze politiche piuttosto che alle sorti del loro amato figlioletto. Cercano di salvare la vita al Primo Ministro in modo così risoluto che la vita del bambino sembra passare in secondo piano. Un prezzo da pagare alla causa della suspense? Il film del periodo inglese, in questo, rimane più diretto, drammatico e concreto.
Da brividi il canto di Doris Day presso la sede del Consolato: la sua voce risuona tra le stanze e i corridoi fino ad arrivare ai piani più alti (splendidi gli stacchi della macchina da presa che rendono alla perfezione l’idea della disperazione e della partecipazione emotiva della madre, capace di arrivare ovunque quando il suo cuore lo desidera).
“Que sera, sera. Whatever will be, will be. The future’s not ours to see. Que sera, sera”.
Pura emozione.
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