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L'uomo che cadde sulla Terra

Regia di Nicolas Roeg vedi scheda film

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La recensione su L'uomo che cadde sulla Terra

di chinaski
7 stelle

Un film da ricostruire nella propria sala montaggio cerebrale, se proprio se ne senta il bisogno, oppure dentro al quale lasciarsi andare, smarrendosi negli interstizi narrativi, nelle asimmetriche ellissi temporali, negli spazi che si allargano (piani lunghi, riprese aeree) e restringono (primi piani, dettagli), percepiamo così la possibilità di fare un’esperienza cinematografica altra, per non dire aliena dai canoni filmici contemporanei.

Certo, in quel periodo di droghe ne giravano parecchie e molta dell’estetica e delle modalità narrative di quegli anni ne sono state influenzate, lo stesso Bowie assumeva parecchia coca e la sua immagine glabra, asciutta e asessuata sembra uscire fuori dalla copertina di Low (pubblicato l’anno seguente al film), con lo stesso taglio di capelli e quella tinta arancione. Bowie, che interpreta oltre a se stesso anche il personaggio di Thomas Jerome Newton appare spaesato, confuso, forse vittima di circostanze di sceneggiatura a lui totalmente estranee, forse semplicemente un englishman caduto negli USA, alle prese con un mondo bigger than life, tra design all’avanguardia, accattivanti interni di case, la presenza di enormi grattacieli, strade vuote di provincia, elementi naturali e asettici laboratori. O forse è lo sguardo dello stesso Roeg che può finalmente perdersi e smarrirsi nelle possibilità del cinema americano, che distrugge e ricompone, in una progressiva perdita di coesione narrativa, lasciando così le sole immagini libere di imporsi sulla retina e sulle percezioni dello spettatore, inducendo una prolungata visione svincolata dalla logica.

Come le iridi di Bowie e gli occhi da alieno che vi si nascondono sotto e attraverso  i quali si immerge in ciò che vede, un corpo dentro un corpo e corpi che cercano altri corpi, copulando in contatti epidermici, giocosi o violenti, che trovano in una sessualità liberata una ipnotica ricerca del piacere e una forma di espressione potente e pura. La fisionomia androgina di Bowie (che diventa il centro di interesse della pellicola), misteriosa e femminea, resistente allo scorrere del tempo, passa da una sequenza all’altra come se varcasse i misteriosi passaggi fra dimensioni psichiche differenti, il suo personaggio sprofonda in una dipendenza alcolica (simile a quella dell’autore del romanzo originale, Walter Tevis) e le bottiglie di liquore si accumulano nelle stanze dove abita - Poi simulacri alieni che vivono in un mondo desertico, probabile risultato di un’apocalisse atomica, forse la lontana famiglia di Thomas, a cui vorrebbe ritornare - Ancora corpi alieni in copulazioni liquide - Il referente primario del linguaggio filmico di Roeg sembra essere William Burroughs, con la sua forma narrativa destrutturata e ricucita attraverso la successione di frammenti narrativi - Brueghel e Icaro che vola e cade nel mare, non il centro della composizione pittorica, solo un dettaglio, che diventa simbolo dello stesso film - E nella sottotrame, da qualche parte, troviamo invenzioni scientifiche rivoluzionarie e professori erotomani, in scopate frenetiche con diverse diciottenni, avvocati e spie e quel senso di smarrimento che aleggia e si fa cinema, forse una nuova maniera di rappresentare il mondo e la sua confusione, forse un viaggio andato a male verso nessun luogo - E nei dubbi che restano tutta la libertà di reinventare i loro significati.

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