Regia di Gabriel Ripstein vedi scheda film
Sulla strada si sbaglia. Sulla strada ci si incontra. Sulla strada ci si perde, per sempre.
Andare. Avanti e indietro. Per trafficare in armi. Per ripensarci. Arnulfo è un ragazzo coinvolto in un gioco pericoloso, che lo spinge a fare la spola in auto tra il Messico e gli Stati Uniti, con a bordo un carico che scotta. Ci vorrà un agente federale americano di nome Hank Harris a fermarlo. O forse, al contrario, sarà quello che lo farà definitivamente uscire di strada. Una storia un po’ così, iniziata tra l’incertezza giovanile, la paura di non farcela, in un miscuglio di lingue che sembra voler frenare l’azione, imbocca, improvvisamente, il tunnel di un road movie tinto da noir. Il racconto diventa allora incline alla nostalgia e alla poesia del tempo perduto, mentre davanti agli occhi scorre il buio di una terra prigioniera del male, il quale si addensa proprio nella zona di frontiera, in quel regno di misteriosi signori, in quel teatro di inquietanti trasformazioni. Il baby delinquente e il poliziotto si scoprono amici, complici, soggetti alla stessa tristezza, all’identica condanna a morte. L’evoluzione è umanamente naturale, narrativamente scontata. Eppure si ribella alla noia, abbandonandosi alla languidezza in cui defluiscono i momenti di tensione, quando il mondo sembra troppo stanco per reggere il ritmo. Il fiato sospeso si affievolisce, sfumando in un sussurro. La titubanza degli esordi prosegue morbidamente nella timida tranquillità della chiacchiera serale, quando il giorno è maturo per la riflessione, e non rimane che essere sinceri, sia pure a malincuore. Questo film asseconda con grazia la pacifica amarezza che precede la tempesta, scandendo gli istanti con la prudenza di chi tasta il terreno, per capire quanto possa essere rischioso aprire la propria anima a chi sta dall’altra parte della barricata. Il dialogo è tutto, è l’arma di chi osa sottrarsi alle logiche della situazione usando la parola per far luce nel fitto della giungla. Questo racconto fa breccia come può nell’oscurità di una realtà mediocre e cattiva, che si direbbe impossibile da sradicare: ne scalfisce appena la superficie, mentre è già invaso dal senso della sconfitta, benché deciso ad andare comunque fino in fondo. La trama insegue, con la giusta lentezza, le estreme conseguenze: si dirige senza fretta verso un epilogo da vicolo cieco, che farà saltare ogni possibilità di sentenza morale. I legami tentati si scioglieranno, nessuno si salverà veramente. Tutto finirà nella vanità delle speranze deluse, degli errori a cui non si può porre rimedio. E la fuga continuerà, come sempre, nel silenzio generale, senza dire nulla di nuovo.
800 Milesha rappresentato il Messico agli Academy Awards 2016.
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