Regia di Steve Wolsh vedi scheda film
Un horror che cede spesso spazio all'erotico. Esordio in regia di certo effetto (dato il comparto femminile) per le bellezze semi svestite e costrette alla (inutile) fuga. Buona anche la messa in scena, ma la sceneggiatura fa acqua da tutte le parti.
Cape Cod, Massachusetts, "notte" di San Patrizio. In fuga da un cimitero, cinque ragazzi raggiungono una casa per chiedere soccorso. Una loro amica è stata uccisa da esseri mostruosi, emersi dalla limitrofa palude. La casa sembra disabitata e i ragazzi forzando l'entrata cercano rifugio all'interno. Essendo sprovvisti di cellulare, Noah (Bryce Drape) decide di avviarsi a piedi in cerca di aiuto. Raggiunge un locale e chiama il cugino, proprio mentre le creature mostruose si sono introdotte nella casa.
Steve Wolsh scrive, produce e dirige il film d'esordio, concepito come primo tassello di una trilogia: Muck: Chapter 1 è infatti il secondo titolo, che pone rimedio essendo svolto in realtà come prequel. Infatti qui non è data alcuna spiegazione che anticipi gli avvenimenti, e già nell'incipit i protagonisti vengono proiettati nel pieno del thriller. Operazione rischiosa, che induce nello spettatore la sgradevole sensazione di iniziare la visione a metà film. Ma non è l'unico -grosso- difetto di Muck, perché la sceneggiatura procede per assurdità.
Perché i cinque superstiti non raggiungono assieme il locale? E perché Noah, una volta in grado di chiedere rinforzi, anziché la polizia chiama il cugino? Nel corso del film, poi, situazioni surreali, messe in atto da Troit (Lachlan Buchanan) sminuiscono a più riprese il girato. Ed è un peccato, perché tecnicamente si nota che -in regia- il talento c'è.
Kane Hodder (il Jason Voorhees di Venerdì 13) interpreta ovviamente la parte di una delle mostruose creature, offrendo -come sempre- la sua inquietante "stazza" mentre, particolare interessante per il pubblico maschile, la componente erotica predomina su quella horror.
Il gineceo che si "muove" sullo schermo è di prima categoria: Jaclyn Swedberg è stata la Playmate di Playboy nell'anno 2012, mentre altre due bellezze da sturbo, Audra Van Hees e Ashley Green Elizabeth, hanno ricevuto il riconoscimento di Miss Cape Cod (Cape code è la location del set). E l'elemento erotico subentra -prepotentemente- anche in contesti inattesi, come quando la Swedberg è in auto -assieme a Lachlan Buchanan e alla affascinante ed esotica Puja Mohindra- sotto attacco da parte delle creature che muovono il mezzo a destra e sinistra: la macchina da presa insiste con primi piani del seno ondeggiante della playmate, urlante e spaventata eppur tanto erotica. Ma il palmo di personaggio più sexy tocca a Lauren Francesca che, pur senza vantare alcun riconoscimento da miss, recita per tutto il tempo in lingerie, con un mini slip e un top risicato muovendosi sinuosamente (spesso ripresa da dietro con evidenza delle natiche di rara perfezione) pur dovendo indossare un paio di stivali. La domanda, come direbbe Lubrano, sorge spontanea: che ci faceva in quello stato, nel mezzo di una palude? Aspettiamo il capitolo finale, sperando che Steve Wolsh dia soluzione a questo inestricabile (e interessante) enigma.
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