Regia di Patricio Guzmán vedi scheda film
I mammasantissima del cinema, quelli sempre bene informati, dicono che il settantaquattrenne cileno Patricio Guzman, una vita passata in esilio dal "suo" Cile dopo il colpo di stato di Pinochet, è uno dei migliori documentaristi al mondo. Sarà… La memoria dell'acqua è appena il suo quinto film e prende spunto dal ritrovamento di un bottone (quello del titolo originale) in fondo all'oceano per raccontare la storia di Jemmy Button, l'indigeno che - nell'Ottocento - fu portato dalla Patagonia all'Inghilterra con l'intento di civilizzarlo, salvo poi rispedirlo indietro. Al rientro, l'uomo perse la sua identità dopo avere accettato le avance degli inglesi in cambio di quel famoso bottone di madreperla che gli diede anche il nome. Oggetto che fa da epitome anche alla dittatura di Pinochet, artefice dell'inasprimento della difficile convivenza tra etnie diverse, fustigate dalla dittatura e già in precedenza vittime di forme feroci di colonialismo.
Tutto molto poetico e ispirato, ma terribilmente demodé, con l'appiglio pretestuoso a una metafora corriva come quella della memoria dell'acqua che diventa la matefora di un popolo che non ha dimenticato il suo passato, le difficoltà e i torti subiti. Ritmo lentissimo, voce off soporifera da documentario televisivo anni '50, macchina fissa sugli intervistati alternata a immagini dello spazio da National Geographic rendono questo film appetibile solo a palati raffinatissimi. Il mio non lo è.
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