Regia di Patricio Guzmán vedi scheda film
Come il suo grande compatriota, Pablo Neruda, il regista cileno Guzmán compone, con la "Memoria Dell'Acqua" e il precedente "Nostalgia Della Luce", un poema, il suo "Canto General". Il regista, infatti, partendo dagli elementi magici della Terra, il deserto in "Nostalgia" e l'acqua in "La Memoria", ci parla, con grazia infinita, dei drammi recenti del suo paese, il Cile. Se già la poesia straziante di "Nostalgia Della Luce" non poteva lasciare indifferenti, anche in questo seguito ideale, Guzmán sceglie un punto di vista lontano, la Patagonia e lo sterminio dei suoi abitanti millenari, per parlarci del recente passato, ma portando il suo discorso a un livello molto alto, frutto di una commistione fra poesia delle immagini, acqua e cielo, stelle e abissi. Ma, come in "Nostalgia", non si dimentica della realtà della carne, di quello che è accaduto sulla sua terra, dell'infinita ferocia delle torture, riportando, quasi brutalmente, il suo discorso al cuore politico dei suoi documentari. E, ancora una volta, realizza ottanta minuti straordinari, di grande impatto emotivo, in cui difficilmente si rimane impassibili, forse muti, ma di quel mutismo che non è indifferenza ma dolore e smarrimento. Attorno c'è tutto un discorso, se si vuole, anche un po' filosofico, molto herzogiano, ma che trova una sua circolarità, una sua chiusa strabiliante. Nessuna retorica, nessun desiderio di vendetta, ma un ipnotico dipanarsi di Storia e spiritualità, un oceano vasto di sparizioni e di ritorni, di cadaveri e di bottoni. Guzmán è un poeta del Cinema, etichetta abusata ma mai come in questo caso adeguata. Film enorme.
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