Regia di Patricio Guzmán vedi scheda film
Cosa sappiamo del Cile? Noi così lontani nell’umana percezione delle distanze eppure talmente vicini in quanto minuscoli granelli di un universo? Partendo dall’acqua, elemento universale, Patricio Guzman, maestro del cinema nazionale cileno, setaccia le contraddizioni di un Paese che s’è negato la necessità della memoria, dalle popolazioni della Patagonia saccheggiate dai coloni ai desaparecidos cancellati dalla dittatura di Pinochet. Lavorando su quanto è stato rimosso nel romanzo storico della sua nazione, il cinema saggistico però sempre narrativo di Guzman affida alla natura il ruolo di vittima dell’uomo non in una scontata concezione ambientalista ma nell’ambito della sua consueta visione cosmologica: l’infinitamente piccolo dell’uomo che si oppone all’infinitamente grande del cosmo servendosi della violenza. Ed è un racconto proprio sulla violenza, Il bottone di madreperla: il titolo si riferisce ad un fondamentale della storia emblematica del primo indigeno portato in Inghilterra e ricondotto in patria deprivato dell’identità. La violenza perpetrata per eliminare l’ingombro dell’uomo non conforme al potere, nella speranza che il riscatto venga dal mare, in qualche modo sineddoche della natura, della vita in comunione con la natura e della morte che irrompe nella natura. Magnifico secondo capitolo di una progettata trilogia sulla memoria, come nel precedente Nostalgia de la luz c’è una potente riflessione sulla responsabilità di chi è sopravvissuto alla tragedia: anche se più razionale e pensato del primo, resta un magnifico racconto di connessioni e parallelismi che s’è giustamente meritato il premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Berlino.
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