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Gli uomini, che mascalzoni...

Regia di Mario Camerini vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Gli uomini, che mascalzoni...

di obyone
8 stelle

 

locandina

Gli uomini, che mascalzoni... (1932): locandina

 

Cinque giorni sono passati dall’inaugurazione della 1° Esposizione d’Arte Cinematografica di Venezia. Il pubblico è ancora scosso dal terrificante ghigno del “Dr. Jekyll” di Rouben Mamoulian e si augura che, dalle tenebre della notte veneziana, non faccia capolino la sua mefistofelica silhouette. C’è ressa nel bellissimo terrazzo vista mare dell’Hotel Excelsior. Uomini e donne in abito da sera prendono posto. Qualcuno sorseggia il proprio champagne altri si attardano in chiacchere. Esce dalla tromba di un grammofono un dolce motivetto che recita “gli occhi tuoi belli brillano, come due stelle scintillano” attirando l’attenzione degli animi più romantici. È un giovedì mitigato dalla brezza marina ed il regista Mario Camerini, sulle spina, la cravatta che lo indispettisce, guarda in direzione dell'ingresso benché non vi siano le condizioni per vedere alcunché. il giovane protagonista de “Gli uomini, che mascalzoni”, il trentunenne teatrante Vittorio De Sica, tarda a farsi vedere. Il giovanotto, ben più attratto dalle donne e dai tavoli da gioco, non si cura troppo dell’evento mondano che vuole la proiezione in Laguna del primo film italiano. A Mario Camerini sudano le mani, spazientito, ma alla fine tutto fila liscio. Le nuvole minacciose vengono spazzate via dal vento e una buona mano suggerisce a De Sica che per quel giorno può bastare. È ora di recarsi all’appuntamento con la dolce Lya Franca, occhioni da cerbiatto impaurito, e con gli ospiti dell’Hotel Excelsior che, stanchi di mare e banchetti, sono impazienti di godersi una commedia, così si mormora, che potrebbe far dimenticare il viso orribile del mostro. Le autorità fasciste plaudono alla scelta del selezionatore, il “camerata internazionalista e pacifista” Luciano De Feo, perché, diamine, l’Italia fascista non ha tempo da perdere con il decadentismo vittoriano. Finalmente le luci si abbassano, gli astanti zittiscono ed il proiettore inizia a ronzare mentre un vecchio autista entra in una bottiglieria di Milano, si fa un bicchierino e compra il latte per la colazione della figlia… Chissà come andò veramente quella sera dell’11 agosto 1932. Se vi furono resoconti non sono arrivati fino noi e così la fantasia può sbizzarrirsi nel colmare i vuoti della storia. La storia riporta che il primo film italiano presentato nella neonata Mostra del Cinema fu, per l’appunto, “Gli uomini, che mascalzoni” per la regia di Mario Camerini. L’esposizione era iniziata, invece, il 6 agosto per volere del conte Giuseppe Volpi, presidente della Biennale, di Antonio Maraini, professione scultore e segretario generale della Biennale, e di quel De Feo, fondatore dell’Istituto LUCE, che curò la prima selezione.

La pellicola di Camerini narra di Maria, una giovane commessa, sottoposta alla corte di Bruno, uno sconosciuto che la pedina in bicicletta durante il tragitto per recarsi al lavoro. Dal loro primo e fortuito incontro succede un po’ di tutto. Alla fine la perseveranza di Bruno ed il crescente interesse di Maria mettono fine ad ogni incomprensione e l’amore, sotto l’occhio vigile del padre tassista, può trionfare.

Camerini ambientò la storia a Milano e rese la città protagonista degli avvenimenti perché, contrariamente a quanto accadeva all’epoca, le riprese erano fatte in esterni. Camerini prese Milano e la trasformò nel proprio teatro di posa. Ne fece anche un caleidoscopio di rumori, traffico e gambe destinato ad imprimersi negli occhi degli spettatori che non conoscevano la città più vitale del paese. Senza paura di sbagliare direi che il ritratto laborioso e vivace di Milano piacque al Partito Fascista perché Camerini ne esaltò l’operosità e l’incessante e brulicante movimento. Centro nevralgico dell’industrializzazione italiana Milano divenne protagonista al pari dei giovani innamorati grazie ad una serie di soluzioni visive che abbracciando gli ideali del futurismo ne facevano una città dinamica e veloce. Sono di grande interesse le riprese sulle ruote dell’auto e l’accelerazione delle immagini della Fiat che percorre a gran velocità il tragitto che separa la città dal lago. La sequenza è tecnicamente perfetta perché con una serie di inquadrature avveniristiche verso i lati della carreggiata, di riprese dal basso, di sovrapposizioni e di inquadratura dei margini stradali, ove i parracari passano in grande velocità, il regista esalta il concetto preferito del Futurismo, il dinamismo del progresso che rende brillante il futuro. Gli slogan, i cartelli pubblicitari, le insegne dei negozi, il traffico di persone e mezzi meccanici, le luci del luna park investono la città di una vitalità insonne e sempre desta. Milano è il futuro ed è inevitabile che siano gli spazi della Fiera Campionaria, ove le acque si aprono e si chiudono con un pulsante che attiva macchinari avveniristici, ad ospitare la seconda ed ultima parte del racconto in cui, Bruno e Maria si ritrovano. Dal Futurismo, corrente artistica dominante all’epoca, il film di Camerini è influenzato ma non vi è lo sperimentalismo della prima ora tantomeno la cieca obbedienza ad alcun dogma. “Gli uomini, che mascalzoni” accoglie in sé quella meravigliosa fede nella bellezza del sentimento d’amore che il regista racconta con grazia, umorismo e sensibilità. Nell’Italia del 1932, nell' Italia del Fascio e nell'Italia di Camerini, c’è spazio, dunque, per i buoni sentimenti. La dignità sconfigge l’ostentazione, un favore elargito o un dolcetto regalato per bieco opportunismo a nulla possono di fronte all’onestà degli intenti. Attraverso le immagini del cinematografo il paese ne uscì splendente come una teiera d'argento dopo il passaggio di un panno brillantante sulla superficie ossidata. L'interno restando, tuttavia, opaco e affatto seducente. Vittorio De Sica iniziò la scalata al successo interpretando il buffo cialtrone che non ha paura di mettersi in gioco, in poche parole vestendo i panni dell’italiano in amore. Camerini si barcamenò durante il ventennio e sopravvisse ad esso continuando il suo lavoro di regista negli anni successivi alla guerra. Ma il meglio, forse, era già passato. Lya Franca scomparve dalle scene, nonostante il successo del film. Troppo dolci i suoi occhi per lo spietato mondo dello spettacolo e per quello ancor più spietato delle convenzioni sociali.

La regia indugia nuovamente su un sinuoso parafanghi cromato nero. Il mondo torna a girare a folle velocità lungo una strada buia. Padre e genero sono pronti a scambiarsi di ruolo.

Le luci che si riaccendono e la parola fine chiudono il sipario sullo spettacolo. Gli uomini riaccendono i sigari. Le dame ripongono i fazzoletti bagnati dalle lacrime mentre la puntina del grammofono torna a solcare la superficie del vinile cinguettando il più suadente finale. "Parlami d'amore, Mariù Tutta la mia vita sei tu".

Il mostro oramai non fa più paura.

 

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