Regia di Billy Wilder vedi scheda film
Dopo due film fondamentali come A qualcuno piace caldo e L’appartamento, Uno, due, tre!, a suo modo, appare un lavoro più rischioso nella filmografia wilderiana e rappresenta una sorta di risposta al vitalistico caos del primo titolo e alla ragionata lentezza del secondo. Giocato sulla velocità del dialogo e sull’inesorabilità del ritmo, è una moralistica parabola sulla corruzione: il capitalista americano impegnato sul fronte sovietico a piazzare il prodotto (la Coca-Cola e più simbolici non si poteva essere) sa che tutti possono essere corruttibili, comprabili, manipolabili: l’importante è sapere come. Così non sussistono molte differenze nel suo comportamento aziendale (gli incontri con gli zelanti e venali dirigenti sovietici ma anche il suo rapporto con i dipendenti servizievoli) e nell’atteggiamento nei confronti dell’imprevisto matrimonio tra la bella e bizzarra figlia di un suo superiore e un fascinoso comunista rigido ed astratto: promuovere la finzione per rimuovere la realtà. In fondo Wilder strizza l’occhio al pragmatico ed egoista capitalista con l’esperienza dell’esule europeo ostile all’idiozia perversa di tutti i totalitarismi. Confezionato finemente (l’unica nomina agli Oscar è per la fotografia in bianco e nero di Daniel L. Fapp), modulato sulle note di André Previn ma anche sulla travolgente Sabre Dance di Aram Khachaturian, dominato da un esaltante James Cagney che si autocita quando rievoca Nemico pubblico e Piccolo Cesare in un gustoso gioco metalinguistico.
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