Regia di Walter Veltroni vedi scheda film
L'amore che Walter Veltroni nutre per il cinema è inversamente proporzionale ai danni causati come politico. Basterebbe ricordare l'introduzione, da direttore de L'Unità, dei fascicoletti monografici dell'editore Castoro, dedicati ai maggiori registi mondiali di tutti i tempi, o il coordinamento delle matinée al cinema Mignon di Roma, con dibattito annesso alla proiezione dei film o, ancora, alla firma apposta da anni sulle pagine di Ciak, all'avvio della Festa del Cinema di Roma, alla pubblicazione di un libro come Certi piccoli amori - Dizionario sentimentale dei film, alla voce prestata per il doppiaggio di Chicken Little, al romanzo che ha ispirato il film di Riccardo Milani Piano, solo e al suo primo lungometraggio, quell'atto (impuro) d'amore dedicato a Berlinguer. Una lista assai lunga, quasi quanto lo è stato il casting sofisticatissimo che è alle spalle di questa opera seconda, un documentario nel quale la voce fuori campo dell'ex sindaco di Roma interroga 39 bambini di età compresa tra i 9 e i 13 anni su questioni come l'amore, la famiglia, l'omosessualità, Dio, la crisi, il futuro (la suddivisione in capitoli è segnata da alcune vignette di Altan). Se da un lato la forza del film sta proprio nell'avere costruito una sorta di campione per quote che mira a rappresentare il ventaglio di generi, classi sociali, etnie, residenze ed età dei bambini che vivono in Italia, dall'altro alcune domande appaiono eccessivamente banali e i meriti del film, su questo piano, vanno tutti ai singoli bambini che, con la loro fantasia e i loro scarti laterali, più di una volta suscitano risate e stupori. Il bambino rom, quello colombiano adottato da una famiglia ricchissima, le due gemelle di cui una down, il genietto matematico autistico, il malato di laucemia, la figlia di una coppia lesbica sono solo alcuni volti della caleidoscopica galleria di ritratti raccolta da Veltroni: ritratti che con le loro risposte ingenue e disarmanti intenerirebbero anche i più irriducibili epigoni di Erode. E se il film riesce, il merito - oltre che ai ragazzi - va attribuito a qualche indovinata trovata di regia (su tutte, le riprese che ciascuno degli intervistati ha fatto all'interno della propria cameretta) e non certo alla musica invadente e stucchevolissima di Danilo Rea o al florilegio di famose scene cinematografiche di bambini che corrono che si vede nell'incipit.
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