Regia di Walter Veltroni vedi scheda film
La macchina da presa interroga 39 bambini scelti con un casting molto accurato, attento a ogni minoranza, nel tentativo di rappresentare tutti i coetanei, dai 9 ai 13 anni, ma anche l’Italia intera. E i bimbi, come sempre accade al cinema, non deludono. Sono meravigliosi nello spiazzarci nello scarto dell’idea distorta che abbiamo di loro, forse perché non ricordiamo più come eravamo noi. Il problema, però, nella seconda opera da regista di Walter Veltroni dopo l’esordio più convincente di Quando c’era Berlinguer, sta, oltre che nell’utilizzo delle musiche di Danilo Rea a sottolineare in chiave troppo ridondante le emozioni, nello sguardo dietro la macchina da presa. Il regista/intervistatore cerca di annullarsi (una delle poche differenze con il film quasi identico di Stefano Consiglio del 2007 Il futuro - Comizi infantili), nonostante rimangano frasi troppo ricorrenti («cioè, non ho capito bene, mi racconti?»), riducendo al minimo ogni tipo di interazione, anche con l’esterno. Quella che vuole essere una scelta forte di isolare i soggetti nello spazio chiuso delle loro camerette e interrogarli staticamente su tutto quello che accade fuori, si rivela alla fine un limite. Che viene alla luce non appena il regista libera i bambini, quando li disvela nel fare ciò che amano. O come quando li invita a prendere la GoPro in mano per raccontare la loro stanza. Proprio nel momento in cui diventano registi, autentici.
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