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Umberto D.

Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Umberto D.

di jonas
10 stelle

Umberto Domenico Ferrari è un pensionato statale che fatica ad arrivare a fine mese: si fa ricoverare per qualche giorno in ospedale allo scopo di ridurre le proprie spese di sostentamento, ma all’uscita scopre che l’affittacamere presso cui abita, e che aspettava solo una scusa per cacciarlo, sta ristrutturando l’appartamento; allora si arrende, vaga per la città in cerca di una sistemazione per il suo cagnolino, non trova neanche quella (la pensione per cani è troppo squallida, la governante della bambina le proibisce categoricamente di accettarlo in regalo) e decide che l’ultimo viaggio lo faranno in due. Il terzo e ultimo capolavoro di De Sica, significativamente dedicato al padre, è la perfetta sintesi fra il dramma realista di Ladri di biciclette e l’evasione onirica di Miracolo a Milano. Per buona parte prevale il primo aspetto, sia nel ritratto di un protagonista in caduta libera nella reputazione sociale e ridotto a commettere azioni impensabili fino a poco prima (vendere i propri libri, cercare qualcuno che gli faccia un prestito, chiedere l’elemosina, suicidarsi) sia nella definizione dei personaggi di contorno (la volgarità e l’insensibilità della padrona di casa, la tenera incoscienza della servetta incinta Maria Pia Casilio, la rude solidarietà del finto malato Memmo Carotenuto). Il secondo aspetto viene fuori soprattutto in un finale non risolutivo, meravigliosamente inverosimile, dove si può presumere che cane e padrone vadano a raggiungere i barboni nel paese dove buongiorno vuol dire davvero buongiorno. Notevolissima prova di Carlo Battisti, che non era un attore professionista ma un glottologo (coautore, fra l’altro, di un dizionario etimologico tuttora in uso): il suo visibile impaccio è funzionale alla resa di un personaggio che si trova sempre fuori posto.

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