Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film
Una delle dimostrazioni che l'Italia ha avuto il miglior cinema del mondo, in quegli anni ormai remoti. Zavattini scrive, De Sica dirige; il neorealismo è ormai in declino, ma la storia di Umberto Domenico Ferrari certamente appartiene di diritto a tale filone cinematografico. E' un film di pochi mezzi con un protagonista povero, ma vitale; è proprio l'indigenza che, tentando di privarlo della dignità (memorabile la scena in cui si sforza invano di fare la carità), finisce per togliergli piuttosto la voglia di vivere. La speranza stavolta non viene da una persona, bensì da un animale: questa l'originalità della storia, crudissima e decisamente poco ottimista, ma costruita con grande cura dei personaggi e delle situazioni, soprattutto quelle minime, quotidiane. Impossibile non tirare un sospiro di sollievo al ritrovamento del cagnolino al canile, impossibile resistere alla commozione nel disperato tentativo di suicidio del finale: De Sica sa giostrare i sentimenti del pubblico fin troppo bene, con l'unico, lieve neo della recitazione non impeccabile del suo protagonista. Che, va detto perlomeno a sua parziale discolpa, fino al primo giorno di riprese di Umberto D. non era un attore, ma un professore. Accanto alla storia dell'anziano si colloca quella della sfortunata cameriera, ritratto femminile pessimista altrettanto (incinta, frequentava due ragazzi ed entrambi la scaricano); il film è significativamente dedicato al padre (Umberto) del regista.
Umberto D. è un settantenne in pensione, ex funzionario statale. La catapecchia in cui vive con una cameriera ed un cagnolino intelligente ed affezionatissimo è di proprietà di una donna avida che cerca in ogni modo di sfrattare l'uomo; la povertà che lo vessa lo costringe alla decisione di andarsene. Definitivamente. Ma c'è ancora qualcuno che lo tiene in vita ed è il suo cane.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta