Regia di Jafar Panahi vedi scheda film
Jafar Panahi è sicuramente uno dei registi iraniani più famosi al mondo, eppure, nel suo paese, gli è stato proibito di girare film, dopo la condanna, nel 2010, per la sua partecipazione ai movimenti di protesta: qualche mese di carcere, la condanna a 6 anni e il divieto di girare, produrre, scrivere film, rilasciare interviste e viaggiare fuori e dentro l'Iran. Manca solo l'impiccagione, in pratica. Ma Panahi non si perde d'animo e con un colpo di genio, installa una piccola telecamera in un taxi e riprende la vita comune (e meno comune) di Teheran, dalla clandestinità dell'automobile. Panahi ne è il protagonista, fa il taxista in incognito, e lascia che siano le persone a cui dà un passaggio, a raccontare l'Iran di oggi. Una società moderna ed efficace, vista attraverso i vetri del taxi, caotica senz'altro, ma viva e febbrile, eppure ricca di contraddizioni nel filtraggio della varia umanità che si alterna sui sedili: da chi inneggia alle impiccagioni, al venditore di DVD pirata, anche lui una specie di clandestino, che lo fa "per fare cultura", alla pasionaria che cerca di aiutare chi finisce in carcere ingiustamente, con le sue rose e il suo splendido sorriso. Poi c'è lo sguardo tenero della nipote, con le sue domande sul Cinema, arte insegnata, si fa per dire, nelle scuole, a cui Panahi prova a rispondere, usando, nel montaggio, anche i filmati amatoriali della ragazzina. "Taxi" è un film leggero, a tratti divertente, un film che è un atto d'amore verso il Cinema, nella sua essenza più pura. Viene difficile pensare, dopo questi ottanta minuti, che l'Iran sia una società così rigida, controllata e censoria, e il volto del regista, spesso sorridente e rilassato, è la risposta migliore, la più politica, la più giusta, alle aberrazioni e alle distorsioni dei regimi, tutti. Anche per questo, "Taxi Teheran", è un film importante e da vedere.
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