Regia di Jafar Panahi vedi scheda film
Opus n. 3 di Jafar Panahi dalla reclusione: arrestato a Teheran il 1° marzo del 2010 per attività contro il regime, al regista è stato vietato di girare film, viaggiare, parlare con la stampa. Per 20 anni. A Cannes 2011, in una torta contenente una chiavetta USB, l’autore di Lo specchio manda This Is Not a Film, titolo-parafrasi della pipa di Magritte, diario dall’esilio, teoria dello stallo in un doc che non può farsi fiction, forma struggente di un’impossibilità, al confino dentro casa. A Berlino 2013 è presentato Closed Curtain, traccia di una lotta contro la depressione, vertigine di scatole cinesi a raccontare gli spettri di uno sguardo, casa-prigione che è un soffocante INLAND?EMPIRE per chi da sempre è andato fuori, nel mondo, per leggerlo, raccontarlo e criticarlo, e ora è costretto a guardare solo dentro sé. Questo Taxi Teheran, Orso d’oro a Berlino 2015, è un Panahi lieve, un jeu d’esprit militante, un pamphlet satirico semplice semplice, chiuso in auto come un Kiarostami, ma in grado di uscire dalla spirale d’oscuro ermetismo del film precedente. Panahi s’improvvisa tassista. E per le vie di Teheran raccoglie clienti, parenti, conoscenti, costruendo - videocamera su cruscotto, a suon di elementari dialoghi a due - un discorso su delitto e castigo nell’Iran d’oggi e sulle ipocrisie del racconto del reale accettato dal governo, mai conforme alla realtà. Ed è pura, essenziale didattica del pensiero critico, sempre in punta di paradosso.
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