Regia di Joe Dante vedi scheda film
L’uomo lupo è una delle icone classiche e immortali del cinema horror al pari di Dracula e Frankenstein, nel corso degli anni innumerevoli e svariate sono state le interpretazioni del mito e ancora oggi il tema della licantropia mantiene invariato tutto il suo fascino.
Sono stati però i primi anni ’80 ha lasciare una decisiva impronta nel genere, perché proprio nel 1981 vedono la luce ben due film che resteranno a lungo punto di riferimento per tutti gli appassionati, a pochi mesi di distanza uno dall’altro escono infatti L’ululato (The Howling) di Joe Dante e Un lupo mannaro americano a Londra di John Landis, due strepitosi film che hanno segnato l’immaginario di una generazione e che ancora oggi mantengono intatto il loro fascino e la loro potente forza visiva.
Joe Dante dopo il sorprendente successo ottenuto con Piraña lascia il b-movie e si confronta finalmente con una produzione di livello, lo fa sfruttando quelle che sono già le sue caratteristiche principali, e quindi uno stile visivo molto ricercato (evidente il particolare uso dei colori e quindi una fotografia che rimanda a Bava), il divertito gioco delle citazioni, l’immancabile umorismo nero e la sfrenata critica sociale.
Ma Dante mantiene ben salda la regia che gioca molto con i classici e quindi con le atmosfere e le suggestioni (tra favola e gotico), sfruttando come meglio non si potrebbe gli straordinari effetti visivi di Rob Bottin, che per il periodo erano qualcosa di davvero innovativo.
L’ululato infatti, anticipando di poco il film di Landis, è la prima pellicola a mostrare la trasformazione “a vista” uomo/lupo senza ricorrere a dissolvenze, agli straordinari effetti lavorarono il già citato Bottin ma anche il più quotato Rick Baker (che poi lasciò la produzione per raggiungere Landis e vincere l’Oscar con Un lupo mannaro americano a Londra) e Greg Cannom, il lavoro fu stupefacente e ancora oggi impressiona per l’efficace riuscita.
The Howling (che diede vita ad una serie di sequel assai deludenti) fu scritto da John Sayles e Terence Winkless, il punto di partenza fu il romanzo di Gary Brandner ma l’impronta decisiva, o meglio la zampata artigliosa vincente, la diede Joe Dante che riusci a trasformare lo scritto in un girato molto personale e originale privilegiando la sua particolare visione di cinema e il suo stile irriverente e polemico.
La storia narra della bella Karen White (Dee Wallace) giornalista per un network televisivo che nel tentativo di acciuffare un maniaco assassino (in realtà un licantropo), decide di fare da esca mettendo a repentaglio la sua vita, il tranello riesce e lo squilibrato viene ucciso ma la donna rimane talmente traumatizzata che su consiglio del suo psichiatra il Dott. Waggner (George Waggner era il regista del classico Uomo Lupo della Universal del ‘41) decide di passare un po’ di tempo in un centro di recupero sperduto nei boschi, inutile dire che la bella protagonista finirà dalla padella nella brace.
L’ululato ti prende completamente già dalla prima sequenza, tensione a mille mentre seguiamo la bella giornalista nel sexy shop e poi dentro la cabina dove l’attende il pericoloso maniaco, complici le musiche di Pino Donaggio una scena che per costruzione mi ha ricordato alcuni girati di De Palma, ma forse è solo una suggestione perché poi il film prende tutta un'altra strada raggiungendo il suo culmine una volta giunti nel centro del Dott. Waggner, lì tra incubi notturni, amplessi al chiaro di luna e personaggi che pian piano si manifestano sempre più ambigui la storia prende corpo trasformandosi in un vero e proprio incubo.
Ma con Dante non è solo sangue e violenza, il film infatti presenta diverse chiavi di lettura che danno profondità e rilevanza alla storia, con il suo classico humor il regista non si lascia sfuggire l’occasione di bastonare i media televisivi, pronti a tutto per uno scoop (impietosi i ritratti di alcuni personaggi) ma si lascia poi il vero colpo di genio per un finale che è un clamoroso sberleffo verso una società che ormai non crede più a niente.
A distanza di tanti anni L’ululato resta per me (insieme al capolavoro di Landis) la migliore opera sui licantropi, per i suoi effetti speciali vintage ma ancora di gran fascino, per le numerose citazioni (Belinda Balaski che novella cappuccetto rosso vaga nel bosco fino a trovare la casa del lupo cattivo), per l’ironia beffarda e crudele (in tv passano il cartoon di Ezechiele lupo mentre uno dei personaggi viene divorato), per lo stile tutto particolare e originale di Dante, che rende questo film una pietra miliare sul tema lupi mannari e un opera unica nel suo genere.
Belinda Balaski interpreta l’amica della protagonista e per buona parte del film diventa protagonista lei stessa, l’attrice l’avevamo già vista in un ruolo minore in Piraña, lo stesso vale per Dick Miller vero attore feticcio o semplice portafortuna di Dante, da viscido venditore di loft con annessi pesci carnivori si trasforma per l’occasione in libraio dell’occulto, ultima nota il doveroso omaggio a Roger Corman che compare per pochi secondi ad inizio film (è l’uomo che aspetta di telefonare fuori dalla cabina).
In definitiva, The Howling è cult imperdibile per gli amanti del genere, un film che ha fatto epoca e che resta tutt’oggi un riferimento irrinunciabile per tutti gli appassionati.
Voto: 8
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