Regia di Malgorzata Szumowska vedi scheda film
MALGORZATA S.
Un vorticoso intrico di esistenze lega la morte per suicidio di una donna: innanzi tutto il marito, uno stimato procuratore che, irreprensibilmente impegnato ad avviare le indagini dei vari e spesso cruenti episodi di omicidio che scuotono la città, è solito trovare rifugio da questo suo recente stato di vedovanza, nella bottiglia; l'altro sussulto vitale proviene dalla figlia di costoro, la giovane Olga, affetta da anoressia dopo lo shock subito con la morte della madre. Il terzo elemento che condiziona questo turbinio irrequieto di vite, corrisponde con Anna, una originale terapista che cura proprio un gruppo di ragazze vittime dell'anoressia, e trascorre i suoi momenti di intima solitudine con la sola compagnia di un simpatico e corpulento alano, che la aiuta a superare il trauma tremendo della perdita di un figlio ancora bambino, occorso non molto tempo prima.
Il giro di sofferenze, attutito dal contegno individuale che la sofferenza suggerisce ad ognuno di ostentare come difesa, e da una processo di autodistruzione che in qualche modo i tre finiscono per indirizzare ognuno su se stesso, riesce poco per volta ad essere stemperato con una piccolo flebile barlume di speranza che, riuniti per caso o per azzardo, i tre sono in grado timidamente di accomiatarsi dalla fosca storia che li vede legati assieme nel dolore e nella sofferenza, fisica e psicologica, con un atteggiamento timidamente rivolto verso un cauto e ironico ottimismo.
Malgorzata Szumowska scrive edirige un film dal rigore kieslowskiano che si avvale di una efficace e seducente messa in scena, attorno alla quale ruotano, come satelliti vaganti, tre anime sospese tra fragilità fisica e mentale, intenti ognuno a ricostruire quel prezioso frammento di vita che la morte di un proprio caro ha comportato nella loro vita da orfani o vedovi precoci, o da genitori senza figli costretti a curare altre sofferenze per sopperire alla propria irrecuperabile perdita affettiva.
Alla riuscita della pellicola - Orso d'Argento alla Berlinale 2015 - contribuisce non poco l'apporto espressivo che i tre protagonisti riescono a conferire ognuno al proprio controverso personaggio: Janusz Gajos, il procuratore vedovo e padre di una figlia con cui non riesce più a rapportarsi; Justyna Suwala nel ruolo di sua figli, anoressica e vulnerabile nel corpo, ma non di meno nello spirito; ma la vera differenza è costituita dal gran personaggio della terapeuta segretamente sconvolta dal suo lutto, che trova nella cura della sofferenza altrui, lo strumento per vincere la propria lotta contro la disperazione: la interpreta in modo straordinario la bravissima Maja Ostaszewska, già apprezzata in "In the name of" della medesima Szumowska e in Katyn di Andrzej Wajda.
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