Regia di Malgorzata Szumowska vedi scheda film
Janusz è un uomo terreno, il cui corpo, pesante, si trascina lentamente nella disillusione della mortalità portando il peso di un lutto (della moglie) mai nemmeno affrontato. La sua atrofia affettiva è il corollario a un disincanto esistenziale più vasto, irrisolto e forse irrisolvibile. Anna è una psicoterapeuta molto particolare, scardinata dai vincoli terreni e in contatto con defunti che dettano messaggi da destinare ai vivi. È donna ultraterrena, è mistero, speranza e fede, nonostante la perdita del figlio l’abbia messa a dura prova. Olga, invece, è l’anello di congiunzione tra le due istanze esistenziali. Affetta da bulimia e imprigionata in un corpo/prigione, ne mortifica l’essenza odiando ciò che lo rappresenta: il padre Janusz, catena che impedisce la trascendenza «perché è grasso, si ingozza di cibo. Perché esiste. E perché la mamma è morta». In cura presso Anna, Olga avvicina due modi (e metodi) umani opposti, in un percorso di comprensione ed elaborazione (del lutto, della presenza, dell’assenza) compiuto tra le case popolari di una Polonia di kieslowskiana memoria, nelle quali la macchina da presa di Szumowska si muove con discrezione, in un realismo spirituale imploso. Piuttosto elementare nelle simbologie e nella strutturazione dei personaggi, l’opera di Szumowska è comunque un passo avanti nel percorso di indagine sui corpi del presente compiuto dalla regista di Elles, che nella sua terra trova la giusta misura della rappresentazione.
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