Regia di Samuel Benchetrit vedi scheda film
Intorno ad un palazzone di periferia, tre incontri casuali tra personaggi eterogenei. Un racconto delicato, fuori dal mondo e pieno di fantasioso umorismo. Con una grandissima, antipatica e fragile Isabelle Huppert.
Sembrava partire molto male. Un grosso grigio e anonimo immobile di periferia, una riunione di condominio apparentemente priva d’interesse, un contesto e un’atmosfera poco accativanti, vari e sfuggenti personaggi che non parlano. Poi, il tutto converge su tre punti, sulle brevi storie di tre improbabili coppie formatesi casualmente quanto fantasiosamente. Un astronauta americano atterra sul tetto dell’immobile e viene ospitato da una signora algerina, che lo accudisce e lo ospita nella stanza del figlio assente. Un’attrice sessantenne tramontata e in profonda crisi esistenziale (Isabelle Huppert) riceve un generoso aiuto da un adolescente, suo vicino di pianerottolo. Un inquilino del primo piano, figura senza arte né parte, si finge fotoreporter agli occhi di una dipendente del vicino ospedale (Valeria Bruni Tedeschi), che incontra nottetempo, durante la pausa sigaretta della donna.E’ uno spaccato decisamente eteroclito, un campionario umano allocato fuori dal mondo, ma che in fin dei conti ne rappresenta quanto meno uno spicchio. Il film di Samuel Benchetrit (da me già molto apprezzato per il suo “Janis et John” del 2002) non è né triste né allegro, si snoda alternando situazioni quasi comiche a momenti di acuta osservazione delle relazioni che potrebbero o forse dovrebbero instaurarsi tra persone che, fino ad un momento prima, non si conoscevano. Relazioni che spesso non portano da nessuna parte, come avviene nelle tre vicende raccontate. Cosa importa? “Asphalte” si segue istante dopo istante, i salti da una vicenda all’altra sono gestiti con eleganza e senza sbalzi, i dialoghi sono concisi e ben scritti. Per originalità e umorismo l’incontro più indovinato è, a parer mio, quello tra l’astronauta della NASA, in contatto telefonico con i suoi superiori, sotto gli occhi di una stupita e affascinata donna magrebina. Tra i due prende forma un dialogo non verbale con valenze addirittura poetiche. Dal canto suo e da par suo, Isabelle Huppert offre una di quelle interpretazioni che solo i grandi possono permettersi. Di fronte alla telecamera del suo giovane vicino, nel tentativo di riprendere un ruolo dopo vent’anni di inattività, fallisce miseramente. Incalzata dal suo improvvisato regista, si riprende poco a poco, esita, incespica e, finalmente, prende il volo con una di quelle prestazioni che solo la Huppert sa regalare. Lungo primo piano, sfondo monocolore… si cade in una specie di ipnosi. Non meno godibile è la partecipazione di Valeria Bruni Tedeschi, in un ruolo di rara semplicità. Dubbiosa ma attratta dal giornalista fotografo comparso dal nulla, spera forse di aver trovato qualche cosa che modifichi la sua routinaria esistenza, ma non si illude. Lo ascolta, anche quando le rivela di non essere nessuno. Comunque sia, ha vissuto qualche cosa…
Al di là dell’apparenza scanzonata e delle digressioni nel fantastico (l’astronave che atterra sull’immobile è leggermente eccessivo), il film di Samuel Benchetrit è ben congeniato e più sottile di quanto possa apparire di primo acchito.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta