Regia di Andrea Jublin vedi scheda film
La commedia agrodolce e garbata con annesso romanzo di formazione è un genere non codificato, ma con regole precise che, va detto, si notano soprattutto quando un regista riesce a farle proprie senza ossequiarle passivamente. Banana, in questo senso, aveva la potenzialità di essere il Mignon è partita degli anni zero. Gli elementi c’erano tutti. Qualcosa evidentemente non ha funzionato. Un bambino sognatore; un contesto scolastico non troppo ricettivo nei confronti dei “diversi” e il calcio; il suo sogno di lasciare un segno nel mondo e la dura lezione che forse tanto facile non sarà. Purtroppo il tutto non riesce mai a essere amalgamato in forme convincenti, lasciando emergere soprattutto i limiti di una sceneggiatura infarcita di dialoghi che sembrano essere letti, tanto son privi di mordente. Anche se gli interpreti si dimostrano all’altezza, soprattutto l’ottima Bonaiuto e l’onnipresente Colangeli. Inevitabilmente, pure il discorso sul calcio e la fantasia brasiliana si ritorcono contro un lavoro la cui sola ambizione, divertire solleticando in maniera intelligente, diventa il segno stesso dei limiti del film. Che, suo malgrado, replica i luoghi comuni di un cinema italiano sempre uguale a se stesso. Peccato, perché la fotografia di Gherardo Gossi, con i suoi colori morbidi e le luci calde, evoca un tratto da fumetto belga che fa rimpiangere ciò che Banana avrebbe potuto essere.
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