Regia di Nobuhiko Ôbayashi vedi scheda film
Un film che è la parodia di se stesso e che rifugge qualunque tentativo di realismo e semplice sensatezza tematica non è per forza un film brutto, e gli esempi sono svariati, benché quasi mai si riescano a prendere davvero sul serio nella loro paradossale volontà di non farsi prendere sul serio. Da Troll 2 (vette di trash inaudite) ai prodotti della Troma, non si riesce ad abbandonare lo stato d'incredulità in maniera abbastanza profonda da dimenticarsi delle raffazzonate intenzioni dei registi (e delle menti che hanno potuto creare tutto questo), e non si riesce a percepire davvero qualcosa di buono e apprezzabile perché spesso tutti fin troppo concentrati nel loro essere controproducenti, non-di-qualità, "inutili". Hausu fa prestissimo dimenticare invece tutto ciò che riguarda la bellezza delle immagini, la costruzione tematica, i sottotesti (familiare, sentimentale, ce ne sarebbero tanti, in maniera molto teorica), i personaggi, e lancia in un vortice di immagini e situazioni di puro nonsense tanto da scatenare il riso in svariati momenti, con trovate sempre nuove e talmente numerose da richiedere (addirittura!) più visioni per coglierle davvero tutte. Sarebbe ridicolo infatti pensare che i vari caratteri delle sette maschere caricaturali (in inglese Gorgeous, Fantasy, Prof, Kung Fu, Sweet, Mac, Melody) delle sette protagoniste siano da prendere come i vari aspetti della mente umana, come sarebbe ridicolo terrorizzarsi per una zia anziana che entra in un frigo per ricomparire sul tetto, ma è tutto abbastanza esagerato e spinto alle estreme conseguenze da non far pesare nulla e da far passare l'ora e mezza che viene offerta da Nobuhiko Obayashi come uno sveltissimo flusso di avvenimenti e stimoli uno più strampalato dell'altro. L'encefalogramma è piatto e vuole restare piatto, la seriosità (e anche la serietà) è accantonata e finalmente si può diventare parte (almeno figurale) della splendida danza dei ceppi che Kung Fu deve affrontare, delle visioni inverosimili e folleggianti di Fantasy, delle tenerezze poco convenienti di Sweet, dell'unica sinfonia ridondante che sa suonare Melody, dei barlumi verde smeraldo di Blanche (il gatto bianco onnipresente), del vento straordinario che soffia solo sul personaggio della matrigna mentre tutt'intorno è la stasi metereologica, dei disagi esistenziali di Gorgeous, della gola smisurata di Mac, dei paesaggi sempre uguali sui fintissimi sfondi (è quasi sempre il tramonto, se non alla fine, in cui diventa l'alba [una Rinascita? Un nuovo parto, filosoficamente parlando? Non importa, non c'è bisogno di cambiarlo, lo sfondo, a quel punto]), di uomini che si trasformano in un ammasso di banane dentro una macchina (l'incredibile Mr. Togo, che offre siparietti demenziali e ridicoli dalla storia principale), di titoli di testa che come i titoli di coda presentano i vari personaggi come se fossimo dentro una serie tv e di una casa stregata piena di insidie (attenzione ai cavi del telefono) che finisce per navigare sul sangue rosato della proiezione del gatto Blanche, stordita dalle gambe di una quasi-morta Kung Fu, con la consolazione finale che, dopo ogni singola assurdità, almeno all'inizio, sappiamo che tutto "sarà stato un illusione". Irracontabile e, per questo, profondamente cinematografico.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta