Regia di Derek Cianfrance vedi scheda film
The Light Between Oceans parte con un primo piano a mezzo busto. Lento movimento di camera in avanti, a ritrarre l'espressione celatamente perplessa di Michael Fassbender, che riceve una proposta di lavoro come guardiano del faro di Janus, isola sperduta nell'oceano (o meglio, fra due oceani). Non è un caso che un melodramma spettacolare come quello di Cianfrance inizi da un primo piano. E' un film che resta vicinissimo ai volti dei personaggi, praticamente appiccicato, con un'ostinazione che non ha nulla di classico né di scontato. Fin dai primi minuti, in cui si sviluppa il rapporto fra il protagonista e la giovane Alicia Vikander, la regia di Cianfrance ha già preso le misure: primi piani ravvicinatissimi di sguardi o estremamente emotivi (la Vikander) o forzatamente raffreddati (Fassbender), e campi lunghi o lunghissimi sui paesaggi naturali che li circondano. Nel primo dei tre segmenti che idealmente dividono la pellicola, queste due "parti" hanno una disposizione da classico Romanticismo: la luce illumina il nascente amore sincero fra due persone semplici, sia intimamente che in una natura maestosa che li accompagna e li rappresenta. La luce proviene dal Sole che albeggia o tramonta, o dalla finestra della sala da pranzo della famiglia di lei, quando i loro sguardi si incrociano e sembrano dirsi già qualcosa. La musica di Desplat fa sfacciatamente il resto.
La fine del primo segmento coincide con l'inizio del secondo: il rapporto fra i due protagonisti si fa instabile a causa degli aborti spontanei di lei. Il loro mondo si va chiudendo, striminzito, sulle loro facce deformate dalla passione o dai dolori. Il mare si fa torrentizio, il cielo nuvoloso, gli eventi strazianti. L'alternanza di primi piani e campi lunghi è un po' più intensa, dimezza il numero di dissolvenze, e stressa il carattere distensivo di queste ultime, fino allo zenit del ritrovamento della bambina e dell'uomo morto in barca. Da quando l'uomo e la donna stringono il loro segreto (gioendo sulle possibili tragedie altrui), il loro mondo si fa ancora più chiuso, se non in quei sporadici casi in cui come loro la regia si dimentica di tutto e "surfa" sulle loro deboli illusioni. I personaggi si appesantiscono di una carcassa di dubbi morali e sensi di colpa come se piovessero, e non sembrano accorgersi, soprattutto lei, dall'egoistico amor fou che li contraddistingue, dei danni che stanno generando.
Il resto del film (la terza sempre più melodrammatica parte) è un effetto domino di twist e capovolgimenti visivi che vedono sì troneggiare il binomio primo piano-campo lungo come fosse lui stesso il doppio sguardo di Giano sugli oceani, ma lo vedono anche cambiare di senso e di significato. Questa dicotomia si fa sempre più radicale, estrema, esagitata, tanto che il film diventa asfissiante, e i primi piani non sono più puliti e romantici, ma non riescono a catturare l'intero sguardo, perdono di vista le parti, instaurano uno scontro diretto con l'out of focus e tengono a distanza la luce, se non in momenti di rara distensione.
The Light Between Oceans è un film facilissimo da criticare, nella misura in cui appartiene a un genere passato di moda e impopolare, quello del rovente melodramma fiammeggiante (e non del film strappalacrime). Eppure non sono la compassione, o la pietà, i sentimenti che vengono chiamati in appello con forza e insistenza, come avviene nei più indecenti esemplari del genere. Sono piuttosto l'amore folle, l'egoismo involontario, l'ingenuità, il senso di colpa, la paura, e anche la possibilità del perdono, del sacrificio, questi ultimi sentimenti facilmente travasabili nello scenario di una cristianità timorata di Dio (evocata da certi personaggi secondari) ma in realtà svuotati di qualsiasi connotato religioso, e immersi in una disperata, isolata, quotidianità (Cianfrance ha ricevuto un'educazione cattolica che qui analizza e cerca di superare). Tra il close-up della consapevolezza e il background di un mondo sempre più inesorabilmente vicino all'intimità esplos(iv)a dei due protagonisti, Cianfrance riesce nell'intento (come ha detto lui stesso) di realizzare "un film di Cassavetes su un paesaggio di David Lean" indagando per forza di cose memoria e tempo - rievocati continuamente da un mare mai completamente calmo - e scontrandosi con difficoltà morali e ideologiche che non perdono mai il loro corrispettivo visivo. Il tutto in un ritmo sincopato che lascia che l'azione si svolga anche con discreta velocità, ma si accomodi su dialoghi e scontri verbali apparentemente statici e ripetitivi. Là dove, come dice lo stesso Cianfrance, "l'azione si ferma, e iniziano il comportamento, le personalità, l'essere stesso", il punto dove "la storia si ferma e inizia la vita vera".
Questo film dimostra (e ancora una volta è Cianfrance a farlo notare) che, come diceva John Ford, "il paesaggio più interessante di tutti è il volto umano".
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