Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Scott non ha perso del tutto il tocco dei suoi esordi, come si dice, anche se ha fatto certamente di meglio.
Salvate il soldato Damon: a distanza di 17 anni dal kolossal spielberghiano, il bravo Matt è ancora nei guai, stavolta abbandonato come un cane in autostrada niente meno che sul pianeta Marte. Le probabilità per i nostri eroi di recuperarlo senza finire uccisi da un asteroide di passaggio è pressoché la stessa che avevano Tom Hanks e il suo drappello di non finire uccisi da una granata vagante: quasi nessuna. Tuttavia, tutto puote, l'America, soprattutto al cinema, e così Matt Damon salva la ghirba in ambedue le avversità uscendone immacolato e senza un graffio come uno smeraldo dalla fanghiglia. Il sottotesto di queste grandi saghe della sopravvivenza e del soccorso a stelle e strisce è sempre immancabilmente il medesimo: ti inculcano il sacro modello egualitario per cui i figli dell'America contano tutti allo stesso modo, e nessuno può essere lasciato indietro rispetto agli altri. Un modello fasullo, ma tanto più innocuo in quanto onnipresente.
Un'altra argomentazione, debolmente affilata ad onor del vero, che i critici spesso adoperano per demolire questo genere di film di fantascienza, è il poco realismo: non è realistico che Damon sopravviva malgrado un buco nella tuta, non è realistica una tempesta di quella portata su Marte, non è realistico che si cammini su Marte come se niente fosse invece che saltellare, e altre amenità varie ed eventuali. Si ignora però che se non si darebbe finzione fantascientifica senza la sospensione dell'incredulità. La fantascienza implica sempre un voto di rinuncia al vero, altrimenti scadrebbe nel documentario e perderebbe tutto il suo allure. Semmai, appare più balzano ciò che accade sulla Terra di quello che accade su Marte: i capataz della Nasa che gestiscono la principale agenzia spaziale al mondo come se fosse un agriturismo a conduzione familiare, dove ognuno fa come gli gira con incalcolabile sprezzo dell'autorità e del buonsenso, sono stridenti anzichenò con l'immagine di una Nasa tetragona e infallibile...
L'ambientazione marziana è viceversa la parte più formidabile della pellicola. Finalmente s'arresta l'interminabile ciclo di triti scenari distopici e/o post-atomici, per abbracciare la desolata meraviglia del pianeta rosso. Sarà un discorso qualunquista, ma un po' c'è da invidiarlo Damon, per aver avuto il privilegio di stare lontano milioni di chilometri da questa umanità in putrefazione, solo con se stesso e a se stesso, davanti al mistero del cosmo (al quale però, invero, non sembra troppo interessato). Il limite dell'opera è che Damon non sta solo a sufficienza per appagare la nostra curiosità rispetto all'ignoto: troppo presto si rimette in contatto con la Terra, che da allora lo sommerge con una raffica di messaggi, come nemmeno due innamorati nel periodo della prima cotta. Le più belle sequenze sono quindi le non numerose in cui ci è concesso di vedere Damon completamente solo, come Tom Hanks in Cast Away, a invocare clemenza presso il tribunale dell'universo; per il resto, il film si perde negli inopportuni quanto frequenti momenti di distensione terrestre, che non sortiscono altro effetto se non quello di rendere periferico ciò che invece dovrebbe essere centrale, ovvero la vicenda su Marte. Vanità della Nasa, vanità dell'America.
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