Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Con un incredibile Cast away 2.0 Ridley Scott ci commuove per due ore mischiando tutte le emozioni stereotipate da Inside Out. Matt Damon creduto morto e abbandonato sul pianeta rosso dovrà contare solo su se stesso e la capacità di non impazzire razionando e razionalizzando “un problema alla volta”.
Un film per noi che spesso non riusciamo a stare da soli neanche con la televisione spenta.
“The martian” prende di petto questo pianeta deserto e ostile, e noi con lui stavolta schizziamo di isolamento, ci commuoviamo al suo video diario (“se manca l'acqua muoio, se finisce l'ossigeno muoio, se non trovo cibo muoio”), ci facciamo forza e scopriamo risorse, riusciamo a goderci panorami marziani nei fin troppi immensi attimi di solitudine, segniamo i giorni a parete come gli ergastolani perché il tempo diventi sollievo e non condanna.
Aspettiamo una voce dall'aldilà. Ma un aldilà vivo. Fatto di uomini e scienza e radiosegnali. Di scelte da prendere alla faccia della logica. Di decisioni “terrestri” considerate da uomini come noi. Di coraggio nei confronti di un solo uomo perduto nello spazio ma che ritrova se stesso, si aggrappa alle sue passioni per sopravvivere, alla sua logica divenuta improvvisamente “spaziale”, alla discomusic lasciata in mille files dal comandante della missione, che fa da contrastante e splendido arredo musicale a quel darsi da fare di Damon, tecnico “imperfetto” che tenta, sbaglia e prova di nuovo.
E fa niente se per due ore non pensiamo ai bimbi che muoiono di fame a km zero. Nella nostra stessa atmosfera. E che nessuno torna “indietro” a salvare.
Perché il mondo si muove all'unisono solo per le imprese, e si sfida il Sistema solo per l'eccezionalità.
Non è solo un'accoppiata con la morte questo passeggiare su Marte. Un guardarsi negli occhi mentre le sfide si avvicendano, le tempeste insabbiano, le contrarietà si moltiplicano: è aggrapparsi agli espedienti, comunicare ogni giorno con se stessi in videoselfie fino a poter comunicare, di nuovo, col mondo.
Riempiendolo di sorrisi e carezze, e di parolacce anche, quando ci sarà da misurare davvero gli unici sogni di salvezza.
E' fantascienza ridotta alla nostra portata, è una gara contro il tempo ma la sua dilatazione forzata è contemporaneamente fascino, delirio e compartecipazione. Alla soluzione finale ci arriviamo da subito anche noi, ma è il viverla che ci eccita e ci rende spettatori attivi.
Non vuole morire Matt Damon. Senza combattere almeno. E noi con lui. Ci immedesimiamo, piangiamo, ridiamo, prenderemo a calci la Nasa potendo.
Non capiamo un tubo di navicelle spaziali ma un lunotto spaccato di automobile con plastica e scotch l'abbiamo riparato tutti probabilmente. Ed è in questi frangenti così comuni che manteniamo Matt a fianco, tenendo il ritmo della discomusic e sfidando Marte anche noi.
E da oggi guarderemo un germoglio che spacca l'asfalto con un altro occhio.
Ne sono sicuro.
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