Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Sulla scia di Gravity di Cuaron (che comunque a mio avviso è ben meglio del presente filmone), la serie della "fantascienza possibile" (seppur spesso poco plausibile.... ma intanto che ne sappiamo noi comuni mortali o poco informati di atmosfere marziane, di pressioni atmosferiche, se sia plausibile fasciare una capsula spaziale di solo naylon per alleggerirla e consentirgli di raggiungere la meta, di come si produce acqua combinando in modo poco più che casalingo o casereccio gli elementi chimici di cui essa è composta, di come sia possibile con l'acqua e pochi escrementi, due patate sottovuoto trovate in dispensa, produrre una piantagione di patate novelle da far invidia al nostro fruttivendolo di fiducia) si nutre ed alimenta di una nuova illustre puntata, ad opera di un regista un tempo cult, ora solido, affidabile e prolifico cineasta al soldo delle majors.
Non siamo in un futuro lontanissimo, ma in un domani molto vicino in cui le missioni sul pianeta rosso sono quasi una routine per la Nasa ed i suoi astronauti.
Poco prima del termine di una missione come tante, della durata di qualche anno, l'equipaggio americano di una navicella ("astronave" qui non suona realistico ed anzi stona con le dinamiche pseudo-possibiliste della pellicola) viene colto alla sprovvista da una tempesta violentissima, durante la quale il biologo del gruppo (Matt Damon, in fondo una delle più valide garanzie di una certa dignità di fondo del prodotto) viene investito da una serie di brandelli di oggetti trascinati dalla corrente.
Vane le ricerche, tempo di sosta risicato oltre il quale la vita degli altri astronauti sarebbe stata compromessa; il computer di bordo che segnala la rottura della tuta del malcapitato, decretandone la morte certa da parte dei colleghi.
Il comandante (Jessica Chastain, una meraviglia!!...come sempre del resto..) si trova costretta a prendere la decisione più difficile e dolorosa per un responsabile: abbandonare lo sventurato per salvagardare il destino degli altri.
Ma, come suggerisce prepotentemente il titolo italiano, l'incidentato non è affatto morto: solo sul pianeta Marte, con trenta giorni di ossigeno di riserva e poco cibo a disposizione, l'uomo, dopo un breve periodo di smarrimento misto ad angoscia, mette a frutto tutte le sue conoscenze per procurarsi acqua e coltivare patate, riuscendo nel contempo a garantirsi ossigeno per organizzarsi, sopravvivere in un clima ed un habitat chiaramente ostili ed inadatti, e farsi notare dalle sonde della Nasa, fin giù sulla Terra.
Come recuperare il sopravvissuto, diviene il fulcro delle oltre due ore che seguono in questo concitato inizio di film.
Un'opera che se da un lato si fa forza di una sceneggiatura nel suo complesso ben organizzata e robusta, ben orchestrata tra le vicende di un protagonista assoluto ed una parte conclusiva in cui i comprimari trovano riscatto riconoscendosi nei caratteri e nelle singole sfaccettature, dall'altro non riesce ad evitare gli stereotipi fastidiosi di una solita retorica americana, dell'allegrezza incontenibile, dell'ottimismo sfrenato tutto stelle e striscie, e inesorabilmente fuoriluogo, con cui ci viene presentato l'uomo solo e troppo poco angosciato, forse perché inverosimilmente ma solidamente convinto delle proprie capacità, mai propenso alla disperazione più oscura e irreversibile (che sarebbe invece il sentimento più umanamente prevedibile in queste terribili circostanze).
Anzi, il Damon che parla da solo al registratore per lasciare un diario a chi potrà ascoltarlo dopo morto, quello che ironizza sulla disco music che è l'unica compagna rimasta ad allietare (si fa per dire) ore di lavoro dedicate ad un ingegnoso sostenatamento), quello che lascia il saluto dell'addio ai genitori guardando l'orizzonte come un cowboy oltre confine, è davvero piuttosto fastidioso, ridondante, pur se nella sua parte l'attore è mediamente bravo, al punto in cui ci si aspetta da un attore impegnato e capace quale egli è quasi sempre.
Per Ridley Scott, cinesta di cui si scrivevano trattati e saggi negli anni '80, quando aveva all'attivo pochi film, ma tutti capolavori (I duellanti, Alien, Blade Runner, e forse anche Legend, capolavoro alla rovescia forse, ma dal fascino innegabile, seppur tendente alla stucchevolezza), la prolificità che lo vede intraprendere con cadenza pressoché annuale progetti anche molto ambiziosi e di grande impegno organizzativo (oltre che registico), da un lato ne svilisce da tempo (oltre un ventennio) il fascino da autore cult, dall'altro conferma la sua innegabile capacità di coniugare una certa costante dignità di risultato alle regole, decisamente meno ispirate, di un prodotto commerciale destinato a grandi incassi.
Sopravvissuto (o The Martian), forte di un cast da capogiro anche quando la vicenda ruota tutta attorno ad una sola persona, è un buon prodotto medio che avremmo apprezzato molto se accostato ad un regista di routine o dal compianto, ma solido mestierante fratello Tony. Da Ridley invece, e da tempo ormai, ci attenderemmo di più artisticamente, e di meno quantitativamente.
Ma ritrovarlo ogni anno, puntuale e versatile nelle scelte di regia che affronta di pieno petto, da vero comandante o capitano Achab, alla fine non ci delude mai quanto ci verrebbe da temere ogni volta, prima di affrontare da spettatori nemmeno troppo smaliziati, ogni sua nuova prova o sfida (ahinoi astutamente calcolata).
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