Regia di Ridley Scott vedi scheda film
“Ma mi state prendendo per il culo?” (al singolo scegliere se l’intonazione è ridanciana o seriosa).
È ciò che risponde, ad un certo punto, il marziano colonizzatore -un ingessato Matt Damon- alla richiesta ‘folle’ inviatagli via e-mail dal quartier generale Terra-NASA.
Ed è la medesima domanda che si fa lo spettatore, mesto e perplesso, nel buio della sala innanzi a cotanto scempio cinematografico che vuole darsi a tutti costi un’importanza, un peso che proprio non possiede.
Armato di ferrea pazienza e illuso dalla speranza genuinamente cinefila che le sorti della pellicola mutino in meglio rivelando finalmente il capolavoro che si ostina a nascondere, lo spettatore esigente e non dimentico della logica e del ragionamento, fronteggia un film assurdo, pregno di incongruenze su cui non si può sorvolare, che, spudorato, si spinge oltre la cosiddetta sospensione dell’incredulità imposta dal genere. E da un discorso metaforico, qui inesistente.
Ma che al contempo vorrebbe aderire alla realtà propinando una sequela sfiancante di informazioni superflue e tecnicismi linguistici poco comprensibili ed interessanti solo per chi mastica astrofisica. Quando poi, tanto per non mancare, l’irritante didascalismo provvede a tradurre, sempre in bla bla bla, per i non addetti ai lavori.
E perfino una certa sottile descrizione dei dettagli, in un altro contesto accattivante, qui contribuisce senza pietà ad appesantire la pellicola.
Che, pur trovandosi lontana anni luce dallo sguardo autoriale (o personalissimo) di Interstellar, come dai toni vertiginosi, essenziali e rarefatti di Gravity, ne ricalca barbaramente e scriteriatamente le orme fino all’efficace prefinale, unico pezzo forte di un polpettone labile quanto indigesto, condotto con mano stanca e poco convinta da un Ridley Scott ai minimi storici.
Un film fuori tempo massimo, che sarebbe andato giù in un sol boccone una trentina d’anni or sono e che adesso, invece, rivela tutto lo squallore di un progetto obsoleto, ammuffito nei luoghi comuni che ripercorre ottusamente, nella carrellata di volti sovrabbondanti (e molti veramente inutili) proposti seguendo i fin troppo rodati meccanismi narrativi che accompagnano storie di questo tipo.
Storie vecchie, con situazioni e dialoghi stantii, che pretendono di incantare, coinvolgere, commuovere e divertire, nell’ingenua convinzione di riuscire ad arruffianarsi il pubblico ‘impreziosendo’ il prolisso, verboso, sterile copione con battutine da preistoria e momenti da classico melò strappalacrime che lasciano, francamente, di sasso.
Mentre un certo imbarazzo s’insinua in chi guarda basito.
Questo The Martian procede lento, macchinoso, piatto. E durante l’estenuante visione, non un sussulto, non una forte emozione. Nemmeno quando entra in scena l’intramontabile "Starman" cantata da David Bowie, a commentare con brio le gesta corali del sovraffollato cast.
La sorte del protagonista stringe il cuore per qualche secondo appena. Poi, la pedestre scrittura (firmata Drew Goddard, ex geniale autore/regista del magnifico film-cervello Quella casa nel bosco) provvede a spezzare ogni legame empatico con la vicenda e con lo sfortunato astronauta, che pur di non morire di fame(?) si ingegna alla grande e con successo.
E qui casca l’asino.
Inizialmente ci viene detto che ben presto morirà soffocato. È già un miracolo che sia sopravvissuto.
Le riserve d’aria sono sempre un problema quando si fuoriesce dall’atmosfera terrestre.
È un' informazione basica.
Un elemento fondamentale presente in tutti i titoli che trattano di viaggi avventurosi nello spazio.
Poi, però, chissà perché, l’attenzione vira alla elevata probabilità che il nostro uomo delle stelle muoia di fame.
E tutti, lui su Marte e la NASA da terra, si mobilitano affinché il poveretto possa continuare a cibarsi.
E i giorni e i mesi passano, e Damon il marziano mangia (seppur razionando le quantità), parla, scherza, pensa, parla ancora, s’incazza, scrive e parla, odia la musica che è costretto ad ascoltare, si affatica a mettere su la sua dispensa privata.
E ancora parla, e dimagrisce, ma è vivo.
E l’acqua?
Si può non mangiare, ma di certo si deve bere se non si vuol crepare.
E l’aria?
Le scorte di ossigeno sono infinite?
Mai una volta che lo script si fosse preoccupato di affrontare il problema, evidentemente spinoso, su come fare abbeverare e, prima di tutto, far respirare il ragazzo.
Soltanto per un momento, alla bisogna del copione cialtrone (al fine di creare timor panico in sala) l’ossigeno viene pericolosamente meno, ma tutto, poi, magicamente rientra.
Più che di fame, si muore di noia.
Bocciato.
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