Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
«Hateful» ha un duplice significato: uno per così dire attivo e uno passivo. Da un lato, infatti, hateful significa pieno di odio, riferendosi evidentemente a un essere (una persona) che odia, dall'altro, ha anche il significato di odioso, ovvero di soggetto che suscita odio (negli altri). Indubbiamente, il titolo fa riferimento ai Magnificent Seven, ribaltandone il senso con i suoi odiosi otto. Se, infatti, i magnifici sette erano bene o male alleati (come gli originari Sette samurai di Kurosawa), questi otto sono l'un contro l'altro armati e vediamo nel corso del film in quale modo e con quali scopi.
Io voglio dire soltanto che con questo film posso, almeno per il momento, riappacificarmi con Tarantino, dopo i suoi lavori che meno mi sono piaciuti, a partire dai due Kill Bill, passando per l'abissale insulsaggine di Death Proof e la medietà un po' presuntuosa di Inglorious Basterds. Django Unchained, pur non pienamente convincente, non mi era dispiaciuto, ma The Hateful Eight conferma Tarantino come il miglior regista nello sfruttare ambienti chiusi ed angusti (prima la diligenza di John Ruth, poi l'emporio di Minnie), con i dialoghi e la violenza che fungono da filtro ad un discorso sul sangue di cui sono nutrite le radici (cristiane?) degli Stati Uniti d'America. Non so se il prossimo film di Tarantino sarà ancora un western, ma se così fosse potrei scommettere un dollaro bucato che questa volta possa riguardare anche i nativi.
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