Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
Tarantino pone mano a quello che forse è il suo film più ambizioso, e lo fa avvalendosi di un cast straordinario. Peccato che il risultato sia una summa del cinema di genere e una parata di scene che vanno dal raccapricciante all'assurdo fino al ridicolo.
Non è facile recensire un film di Quentin Tarantino, la cifra stilistica del regista di Knoxville è talmente peculiare che approcciarsi all'analisi di una sua opera rischia di essere una prova ardua per chi si accinge all'impresa.
E allora data la difficoltà cominciamo da dove solitamente si finisce, ovvero dal cercare di dare una sintesi sul giudizio e un consiglio sulla visione: siamo di fronte ad una pellicola (70mm per la precisione) che manderà in delirio i fan del buon Quentin ma risulterà indigesta oltremodo non solo a chi lo detesta o non lo stima ma anche per chi (come l'estensore della presente) pur non apprezzandolo troppo ha sempre cercato di avere un approccio possibilista con i suoi lavori.
Partendo da un chiaro omaggio al cinema italiano di genere (una delle cose che mi hanno sempre reso simpatico Tarantino), in questo caso Il Grande Silenzio di Sergio Corbucci, il nostro cucina una pietanza ricca e strampalata, finendo per abbandonare la strada del western approdando a quella del giallo (ameno una delle persone che sono nella locanda, dove trovano riparo il cacciatore di taglie John Ruth e la sua “preda” Daisy Domergue, non è chi dice di essere), per perdersi poi in un delirio a tinte splatter, in una mescolanza di generi (anzi in una parata di stilemi del “cinema di genere”) che rappresentano il punto forte dell'opera tarantiniana per chi ama il suo cinema e, all'opposto, si configura come il suo limite più potente per tutti gli altri.
“Tarantino è Tarantino”, è la frase più usata quando si parla di lui, tre parole che vogliono tagliare la testa a molte critiche.
Ma nel mio piccolo mi permetto di osservare che l'incrocio dei generi, cosa molto affascinante se fatta con maestria, diventa un qualcosa di fastidioso se invece viene compiuta senza alcun criterio se non quello di mandare in confusione lo spettatore.
Insomma, al Quentin scappa la mano e quello che ne viene fuori è una mescolanza assurda, caratterizzata da una prima parte verbosa fino alla noia (certi dialoghi sono imbarazzanti, lasciatemelo dire!) per concudere poi in una seconda parte schizofrenica e delirante, che pare ideata apposta per creare sconcerto nello spettatore, una fiera di eccessi gratuiti che portano a un finale in cui il film confluisce in un genere che probabilmente il regista non aveva contemplato e che invece tocca in pieno: la comicità demenziale.
Non si può dire altro in questa sede per non finire in anticipazioni che non sarebbero gradite da chi il film non lo ha ancora visto, ma su una cosa non si può tacere: la scena finale è un insulto all'intelligenza degli spettatori.
E il fatto di avere a disposizione un gruppo di attori davvero al meglio delle loro capacità , lungi dal far alzare il voto finale si configura invece come un'aggravante.
Bravissimi Kurt Russell e Samuel L. Jackson, ma i migliori sono quelli che danno vita alle figure secondarie:Walton Goggins, Demiàn Bichir, Michael Madsen, Bruce Dern e soprattutto uno strepitoso Tim Roth.
Decisamente un gradino al di sotto l'unico personaggio femminile intepretato da Jennifer Jason Leigh, autrice di una caratterizzazione sopra le righe fino all'assurdo che si intona benissimo al film ma risulterà fastidiosa ai non tarantini.
Come risulterà a costoro fastidioso tutto il film.
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