Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
Otto odiosi personaggi in cerca di una fottuta storia.
Adagiata, come corpo grondante lercio sangue su letto di candida neve, tra le pieghe-piaghe purulente d'una disciplinata, quasi "educata", impaginazione per corrispondenze suoni-immagini-(som)movimenti-scrollate-sparate. Fumanti, fisiche, di parole.
Parole autentiche come la falsa lettera di Lincoln, sospette come la millantata stella di sceriffo, deformate nell'ottica sadica del "negro" che non vorresti mai incrociare, eruttate dalla corte di maschere riunite a festa (la loro, la nostra) - scorrettissima, debordante, rutilante -, corrotte come la più pia delle anime corrotte, di frontiera laddove la frontiera è un sordido locale micromondo per microteste di testata attitudine alla rissa e alla polemica.
Un folle teatro grandguignolesco del Verbo e d'incontenibile vigore dialogico e cazzeggio verbale. Diretto dall'autore-demiurgo nell'atto compulsivo-ossessivo di liberare le proprie irrefrenabili pulsioni imprimendo l'inconfondibile marchio in calde cavità filmiche e in retti valori-modelli cinematografici di verginea concezione/esteriorità.
Il risultato è un un manicomio di generi in cui politica e storia, semantica dello spregio, arte dell'estetica analogica-ideologica (dannatemente e deliziosamente fuori dal tempo), masturbatoria analisi metatestuale, gioiosa sinfonia schizzata d'attori (strepitosi, in testa il sudista Walton Goggins), accumulo di topoi, inesorabile delirio della narrazione e (po)etica dell'iperviolenza grottesca copulano furiosamente fino a insozzare il nobile afflato western e l'emporio delle moralità (e il cacatoio delle virtù del buon soldatino al soldo dell'industria).
Lo scenario, virato sui toni del giallo prima e dell'horror in seguito, muta in un'inaspettata macelleria splatter/gore, avente emblema una figura cristologica - Daisy/Carrie sguardo di bagascia - che sappiamo essere destinata alla forca come testimonianza dell'intero lurido genere: in un angolo i personaggi irresistibilmente odiosi, la loro puntuale ipercaratterizzazione, in un altro le catene libere del racconto tracimante eccesso (e innegabile gusto citazionista) che manco una bastarda bufera potrebbe arginare; e in un altro, ancora, neutrale come l'arte della menzogna, il gran burattinaio a orchestrare ghignante il feroce gioco del/al massacro.
Scoperchiata la botola, svelati i meccanismi-flashback della trappola, (s)terminata la mèsse di corpi votati al rito della caustica rappresentazione scenica-cinematica, ecco (smascherata) la cosa tarantiniana: The Hateful Eight.
Film totale e anarchico, vorace, divorante, fantasmagoria colta e riottosa, capace di contenere tutto e il suo contrario.
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