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The Hateful Eight

Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film

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La recensione su The Hateful Eight

di giurista81
6 stelle

Ottava pellicola diretta da Quentin Tarantino che gioca fin da subito con le assonanze, scegliendo un titolo che in lingua originale richiama per due volte il numero otto ovvero "HATE(FULL) EIGHT". Rispetto alle precedenti pellicole è un film economico con un budget inferiore quasi della metà rispetto a Django Unchained diretto tre anni prima. Sono circa 62 i milioni di dollari impiegati, quasi tutti per gli ingaggi degli attori, contro i 100 milioni di Django, i 75 milioni di Bastardi senza Gloria. Dunque una curiosa involuzione non certo dettata dagli incassi dei precedenti film che non può che riverberarsi nella spettacolarità dell'opera più votata a una certa teatralità piuttosto che a un continuo mutare di situzioni e ambientazioni.

Ancora una volta un western, a tre anni di distanza dal primo, ma meno legato al genere. Se Django era un vero spaghetti western con sparatorie, cavalcate e spacconate in salsa spaghetti western (come un po' si poteva respirare in Kill Bill, ambientato ai giorni nostri ma con anima western), qua rimane l'ambientazione e più di questa il contesto storico. La storia ben potrebbe esser ambientata ai giorni d'oggi, ovviamente adattando il tema dei cacciatori dei taglie con quello della criminalità organizzata, a esempio, inscenando un rapimento ai danni di una ragazza che si scoprirà poi essere anch'essa una bandita facente parte di un clan. Poco rimane dell'epopea western o dei canoni classici del genere. Si parla di cacciatori di taglie, è vero, ma è incidentale non base attorno al quale ruota la storia, che invece risiede in una sorta di intreccio giallo/poliziesco e nei rapporti tra i personaggi.

Lentissimo, ma aiutatemi a dire "leeeentiiiiissssiiiimooooo", tutto giocato sulle caratterizzazioni e le interpretazioni degli attori.

Come in "Django Unchained" c'è un inizio di valenza religiosa. Se nel primo western, abbiamo detto assai più legato agli spaghetti western rispetto a questo quasi tutto ambientato in una bettola, c'erano riferimenti criptici legati alle espressioni e ai termini utilizzati da Waltz, qua i riferimenti diventano visivi, esaltati da un lentissimo zoom out che parte dalla testa di un Cristo crocefisso ricoperto di neve e si allarga in modo melassato mostrando una croce enorme e in lontananza una diligenza che si fa largo in un'oceano di neve da cui non affiora niente. Visivamente spettacolare, peraltro ben fotografato dal confermato Fred Raskin. Da notare poi l'ultima inquadratura del film che rapportata alla prima ha un che di blasfemo, peraltro ancora una volta dal freddo al caldo (come nell'epilogo di Django, sebbene al posto del fuoco ci sia il sangue, quasi a suggerire un immaginario collegamento autoriale).

La storia ha qualche colpo di scena centrale, indispensabile per smuovere la monotonia, ma è davvero minimalista quanto a soggetto, contrariamente ai dialoghi che sono infiniti. Grande interpretazione di un bastardissimo Samuel L. Jackson che a un certo punto si mette a fare anche lo Sherlock Holmes adottando il metodo deduttivo per cogliere in castagna qualche furbacchione che sembra comportarsi come l'assassino di "Dieci Piccoli Indiani". Bugiardo cronico, cattivo nell'animo, ironico nel midolle, ma calmissimo tanto da risultare  colui verso il quale il pubblico tende ad affezionarsi (sebbene si renda protagonista di delitti e atteggiamenti bestiali). E' favoloso quando ridacchia, divertito, perché approva la ricostruzione che il personaggio più idiota del gruppo (interpretato da un eccelso Walton Goggins, altro fedelissimo di Tarantino), un razzista figlio di un personaggio che si era posto alla guida di una banda di reietti che combattevano per un fine impossibile da perseguire e che sta per essere eletto sceriffo, fa alla fine dimostrando di essere un soggetto ben più intelligente di quel che era sembrato ("Mi devo ricredere sul tuo conto..." gli dice Jackson). Bravo anche Tim Roth, nei panni di OSVALDO, un inglese che si muove e si atteggia come Christopher Waltz, look compreso, e che dice di essere un boia. Meno incisivi Michael Madsen (forse il peggiore del lotto), cattivissimo Kurt Russell assai più convincente in altri movie. Curioso l'atteggiamento del personaggio di quest'ultimo, un bounty killer che non uccide le prede perché si diverte nel vederle giustiziare dai boia, che finisce per commuoversi nel leggere una presunta lettera inviata da Abraham Lincoln al personaggio di Jackson. A scuoterlo nell'animo è il modo in cui il presidente degli Stati Uniti si rivolge alla propria moglie, un'espressione poetica che suggerirebbe un animo romantico del cacciatore di taglie se non fosse per l'abitudione di tirare cazzotti e gomitate in pieno volto alla donna che si tira dietro ("Non è una signora, questa!")

Brava Jennifer Jason Leight, imbruttita e costretta a recitare sempre col volto coperto di sangue. Davvero luciferina la sua prova, specie nel finale con i denti rotti, quando passa da vittima a un qualcosa assai vicino ai suoi stessi carnefici. Cosa deriva da tutto questo? Semplice, l'assenza di un vero protagonista. Son tutti "pezzi di mota" e diventa difficile intuire cosa succederà, perché con questi personaggi e questa costruzione narrativa può succedere davvero di tutto. Se questa è una nota positiva, lo è di meno l'atteggiamento di Tarantino che finisce col peccare, specie nella prima ora di proiezione, di verbosità e preferisce far spiegare le cose ai suoi attori piuttosto che mostrare immagini in cui ammirarli all'opera (i flashback sono risicati, uno addirittura lunghissimo e non ben amalgamato al resto della storia, che viene divisa in capitoli come Kill Bill). Il maestro di Knoxville inoltre opta per uno sviluppo dai toni crescenti, più sullo stile americano che italiano, con un ritmo a tratti soporifero (la prima parte, a mio avviso, è un po' pesante). Finale delirante, in un mare di sangue e con atmosfere in stile "La Cosa" di Carpenter da cui eredita il concetto dell'isolamento e della chiusura in un locale con tutti i coinvolti che finiscono per vedere diminuire drasticamente le possibilità di salvarsi a causa della bufera che impedisce ogni possibilità di fuga, e soprattutto a causa degli atteggiamenti degli altri. Autocitazioni a "Le Iene" (scena in cui più soggetti si sparano contro simultaneamente) e a "Bastardi Senza Gloria" (carrellata dal basso all'alto con Mdp che passa da una stanza all'altra superando le tavole del pavimento per mostrare chi si muove sotto, soluzione ereditata da Sergio Leone). Omaggio anche al western italiano "Il Grande Silenzio" relativamente all'entrata in scena di Samuel L. Jackson (sorpreso da una bufera di neve, chiede un passaggio su una diligenza facendo collocare sulla parte superiore del mezzo tre banditi, precedentemente assassinati, di cui deve intascare le taglie, proprio come Kinski nel citato film diretto da Sergio Corbucci). Sempre dal film di Corbucci si eredita le location innevate e l'idea delle pistole e armi occultate (qua non nella neve). Per il resto gli omaggi al cinema di genere italiano sono molto più latenti rispetto ad altri film della produzione del regista, qua preso da un leziosismo superiore al solito nell'ideazione di monologhi e dialoghi. Bene le musiche di Morricone che, curiosamente, finisce per ricevere premi (Golden Globe e nomination all'Oscar) quando poi non è stato premiato quando ha fatto colonne sonore di gran lunga superiori a questa. Alto tasso di violenza e di splatter al servizio degli specialisti horror Grego Nicotero & Howard Berger (teste che scoppiano, braccia amputate, attori che vomitano sangue, pugni in piena faccia a donne, impiccagioni cruente), ma l'azione latita ed è concentrata solo in alcune sequenze. Il momento migliore? La requisitoria di Samuel Jackson, il Nero, per scoprire chi ha avvelelanto il caffè, davvero memorabile per pathos, suspence e interpretazioni. 

A mio avviso meno favoloso di quel che si legge in giro, cupo senza possibilità di redenzione e crudele. Un film dove non esistono buoni, né canaglie dal senso etico, ma solo banditi, razzisti, depravati e uomini che agiscono solo per denaro. Inferiore ai capolavori assoluti Bastardi Senza Gloria, Kill Bill, Django Unchained e Pulp Fiction, dai quali difetta per trama (risicata all'osso ovvero liberare un'imprigionata destinata alla forca senza snodi centrali finalizzati a veicolare la storia verso altre direzioni), ma con momenti di puro cinema e dialoghi graffianti che sintetizzano un po' tutta la produzione tarantiniana (confronto bianchi e neri compreso già analizzato in Django).

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