Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
Quasi mi tremano le dita sulla tastiera nel confrontarmi con un'opera così imponente, gigantesca, massiccia. Un film destinato a restare per sempre nella Storia del Cinema Contemporaneo, come d'altronde altri capolavori firmati da questo straordinario cineasta americano. Tarantino ha elaborato un progetto che si ciba dell'essenza della materia cinematografica, rilanciandola come a definire orizzonti nuovi (seppur antichi) per il Cinema del Futuro. Un film che pur sapendo d'antico (nel suo acre sapore western) ci appare straordinariamente moderno, in questo suo indagare tra le pieghe dei sentimenti degli uomini. E in particolare quei sentimenti che rendono l'uomo aggressivo, malvagio, bestiale. Eppure questi uomini (e donne) mossi dal desiderio di sopraffazione e di vendetta, celano animi disperati, in quanto personalità spesso provate da dure esperienze, ed ognuno in cerca di una propria rivalsa nella vita. E se pensiamo a questi otto personaggi in cerca d'autore, non possiamo che individuare un rimando pirandelliano. Esatto: il Genio di Tarantino che riscrive il Western attraverso Pirandello. Ciascuno degli otto personaggi ha un proprio mondo (e modo) di raccontarsi, ed ognuno di essi è stato scritto in sede di sceneggiatura secondo criteri ispirati ad una cura incredibile, con una stupefacente attenzione alle sfumature dei meccanismi psicologici. Questo campionario di otto personalità viene descritto sondandoli fino a scarnificarli, fino a farcene percepire il respiro. E oggi solo Tarantino è in grado di realizzare qualcosa del genere. per il semplice motivo che egli unisce una non comune curiosità verso le pieghe più nascoste dell'animo umano ad una cultura cinematografica davvero impressionante. E' un uomo che posso ipotizzare ami più il cinema che le donne. Di un amore incondizionato e fatale. La Guerra Civile americana è alle spalle. Siamo nello Wyoming, dove imperversa una violenta tempesta di neve. E gli sventurati che si trovano a passare da quelle parti non possono che cercare rifugio in una locanda che viene chiamata "L'emporio di Minnie". Non è il caso adesso, qui, di raccontare nei dettagli ognuno di questi otto malcapitati, che ciò richiederebbe ore. Posso solo affermare che ciascuno di essi nasconde qualcosa, ognuno ha dentro di sè un animale che presto o tardi verrà fuori, fino ad uno scontro finale da cui messuno uscirà intatto. Tarantino ci racconta un' epopea, dal Western alla Guerra Civile, ma è solo uno spunto per esaminare le debolezze dell'uomo e le speculazioni che ne determinano i comportamenti. Uno stupefacente gioco delle parti prende forma e si sviluppa, intrigante da morire, in cui quelle otto persone giocano tra loro ad una sorta di rimpiattino psicologico nel quale nessuna di loro è ciò che appare. Tutto scandito dai ritmi "perversi" di Quentin, che fa seguire ai consueti lunghi cazzeggi (dialoghi tra il demenziale e il grottesco, as usual) delle esplosioni inaudite di atti violenti. E c'è da dire che dopo che i suddetti dialoghi hanno raggiunto livelli parossistici, Tarantino cambia registro, dando vita ad una seconda parte del racconto (probabilmente la migliore) in cui -genialmente- ci viene narrato nei dettagli l'antefatto. E qui il cinema tarantiniano tocca le vette della sua eccellenza, consegnandoci saggi di recitazione che definirei epocali (una Jennifer Jason Leigh assolutamente esaltante e più che legittima candidata all'Oscar). Un finale (e un sottofinale) da Cinema Superiore. E di fronte al dilagare di una verbosità che cela doppi giochi e menzogne, lo spettatore viene lasciato lì a fremere nel dubbio se quel che vede avvicendarsi sullo schermo sia inganno o realtà, in un contesto narrativo dove è l'ambiguità di otto persone del tutto inaffidabili a regnare sovrana. E questo -c'è poco da fare- seduce ed avvince noi spettatori prigionieri del meccanismo perverso ordito dal Maestro. E non è difficile trpvare -tra le pieghe del racconto- uno sguardo politico sui destini dell'America . L'emporio di Minnie diviene il palcoscenico dove si mette in scena una commedia grottesca su una intera Nazione. Qua attraverso dissertazioni sulla Guerra Civile, così come in "Django Unchained" si parlava di schiavitù. L'espressione "cast stellare", ancorchè talvolta abusata, qui è pienamente legittima. Un gruppo di attori (ma davvero) da togliersi il cappello. Un Samuel Jackson e un Bruce Dern come minimo monumentali. Michael Madsen fantastico. Tim Roth (qui luciferino) e Kurt Russell, semplicemente meravigliosi. Ma lasciatemi concludere con le due "cose" di questo film che mi hanno trafitto il cuore. L'interpretazione di una Jennifer Jason Leigh di cui mi ha commosso l'inaudita capacità di "trasporto emozionale" (ora non saprei come altro definirla). E infine le musiche (Divine) firmate da Ennio Morricone, sublime Maestro che nel suo campo non ha rivali. CAPOLAVORO (a tutte maiuscole).
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