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The Hateful Eight

Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film

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La recensione su The Hateful Eight

di AlbertoBellini
10 stelle

Cacciatori di taglie e boia, banditi e mandriani, sceriffi e generali si sfidano tra loro in un'arena claustrofobica e viscerale, attraverso la contorta ma artistica visione di un Quentin Tarantino estremamente politico.

 

OVERTURE

 

Qualche anno dopo la guerra di secessione, lungo i sentieri rocciosi del Wyoming, una diligenza corre più forte del vento. Un vento che promette furia e tempesta. Durante l'ultima corsa per Red Rock, la diligenza si arresta improvvisamente davanti ad una misteriosa figura.

 

"Cosa spinge un uomo ad affrontare una bufera e a uccidere a sangue freddo? Beh, vi assicuro che non lo so. Ma è sorprendente vedere, fin dove può arrivare un uomo."

 

Gli Odiosi Otto. Quentin Tarantino. Parlare del genio appena citato (almeno per il sottoscritto) è un po' come parlare di Kubrick o Chaplin. Qualsiasi parola sminuirebbe il valore artistico dello stesso. Sarà che si sta prendendo in considerazione il mio "regista preferito" (insieme al buon Woody) ma in questi casi, la poca obbiettività presente in me, svanisce totalmente.
Cos'altro ci si dovrebbe aspettare da un regista tutt'altro che brutale e amante della violenza?

 

 

CHAPTER ONE - The Hateful Dogs

 

Curioso è ritrovarsi nel bel mezzo di una bufera, se pensiamo a come tutto ebbe inizio. 1992: Madonna, 'Like a Virgin' e la fava grossa. Otto cazzoni se ne stavano seduti attorno ad un tavolo, cercando un qualsivoglia significato metaforico del noto brano, invece che riflettere sul come non farsi ammazzare nel tentativo di rapinare una banca. Otto, come otto sono i loschi individui bloccati nel Wyoming. Sangue e neve saranno il campo di battaglia, un arena claustrofobicamente politica, la cui quiete non porterà buon auspicio. Il cinema Tarantiniano raggiunge la vetta dell'inpensabile, se si considera come l'autore in questione abbia affrontato (e distrutto), nel corso della sua straordinaria carriera, i canoni del genere. Gangsters, arti marziali, dinamite, scalpi nazisti e duelli a colpi di pistola (e parole) sono stati il pane quotidiano di un regista che pone la propria astratta e contorta ma artistica visione prima di ogni altra cosa. La cura maniacale insidiata nel rapporto tra i vari personaggi porta al feticismo, non di piedi ma di sguardi e lievi movimenti del volto, che grazie ai lunghi e larghi 70 millimetri, si tramutano in valanghe letali di pura tensione. Dopo soli pochi minuti, lo spettatore sarà costretto a raccattare da terra la poca materia grigia che vi rimane, in seguito ad un esplosione causata dall'assoluta perfezione e congruenza risiedente nella scrittura, in particolar modo, proprio nella scrittura del carattere più riuscito: Daisy Domergue. La donna ha sempre avuto un importante valore (quasi simbolico) per l'autore, basti pensare a 'Jackie Brown' e 'Kill Bill', veri e propri atti d'amore cinematografici nei confronti delle due rispettive muse, l'osannazione della figura femminile. Qui la donna è prigioniera, violenta e incontrollabile, un po' Hugo Stiglitz e un po' 'I Cannoni di Navarone'. Ma tutti hanno i loro punti deboli, compresi coloro che non hanno più nulla da perdere.

 

"Quando arrivi all'inferno, digli pure che ti manda Daisy."

 

 

INTERMISSION

 

 

 

 

[Quentin Tarantino e Robert Richardson sul set]

 

CHAPTER TWO - The Imaginarium of Doctor Tarantino

 

Considerato da molti un'eterna copia di se stesso (e del cinema che lo ha allevato), riassumere negativamente l'Andy Warhol della settima arte è uno degli errori più gravi e ricorrenti degli ultimi vent'anni. Non scordiamoci che fu proprio lui a pronunciare le seguenti parole: "I grandi artisti non copiano, rubano". Privare Tarantino del cinema citazionistico, equivale a privare Jimi Hendrix della chitarra o Beethoven del pianoforte. Con questo mi riferisco, sostanzialmente, ai diversi accomunamenti (voluti per giunta) tra 'The Hateful Eight' e 'Reservoir Dogs'. Da una parte è la fine, la chiusura di un cerchio, dall'altra è il tentativo (più che riuscito) di ampliare il cerchio. La maturazione spodesta l'elemento grezzo, pur senza abbandonare quel divertimento e quella voglia di Cinema palpabili nelle precedenti opere. 

 

"Uno di loro, ha in mente di ammazzare tutti qui dentro."

 

Facendo un passo indietro, Il citazionismo, come già ripetuto, non si fa mancare nemmeno qui: Agatha Christie come se piovesse, in un territorio interamente Carpenteriano ('La Cosa' fra tutti), sconfinato nelle infinite lande del cinema italiano targato Fulci, Bava e, ovviamente, Sergio Leone. Non dimentichiamo poi l'emporio, (quasi) l'unica ambientazione dell'intera pellicola, riconducibile alla casa del film omonimo ('The Evil Dead'), diretto da Sam Raimi. Il tutto è accompagnato dalle bellissime, inquietanti e (a tratti) malinconiche musiche del Maestro Ennio Morricone, tornato a scrivere una colonna sonora "western" dopo molti anni. Da ricordare, fra tutte, l'Overture e il brano 'Regan's Theme', ripescato dalla colonna sonora de 'Exorcist II: The Heretic'.

 

 

LAST CHAPTER - A White Man's Heaven is a Black Man's Hell

 

Il solo accenno al cast di una qualsivoglia opera Tarantiniana è tanto banale quanto inutile. Samuel L. Jackson nel più grande ruolo della propria carriera, superando persino l'interpretazione di Jules in 'Pulp Fiction', da vita al cacciatore di taglie Marquis Warren, un "rinnegato" dall'oscuro passato. Il dominio della scena è nelle mani di Kurt Russell alias John Ruth, anch'esso un cacciatore di taglie, amante del classico e fedele alla giustizia. Jennifer Jason Leigh intepreta la (sottovalutata) prigioniera Daisy Domergue e Walton Goggins è il volto di Chris Mannix, l'apparente nuovo sceriffo di Red Rock, entrambi nei più grandi ruoli delle proprie rispettive carriere, tre nello stesso film. Demián Bichir è il messicano Bob, sostituto di Minnie per reggere le redini dell'emporio, Tim Roth (o Christoph Waltz) interpreta Oswaldo Mobray, boia di origini inglesi, Michael Madsen è il misterioso mandriano Joe Gage (una gioia indescrivibile rivederlo al fianco del proprio regista feticcio) e Bruce Dern è il confederato Sandford Smithers. Sono presenti poi James Parks (O.B.) e Channing Tatum, quest'ultimo, il colpo di scena che vi lascerà a bocca aperta.

Da segnalare inoltre, una graziosa e simpatica Zoë Bell (Six-Horse Judy), storica stuntwoman di Uma Thurman.

 

'The Hateful Eight'. Un'epopea viscerale, nella quale cacciatori di taglie e boia, banditi e mandriani, sceriffi e generali, si combattono tra loro per azzannare quel poco che rimane di un'America sanguinolenta e sudicia, reduce di una guerra civile (apparentemente) conclusa. L'8½ di Tarantino è (ancora una volta) la nascita e la morte di un qualcosa che (forse) solo egli comprende appieno. Probabilmente è ancora presto per discuterne, ma per quanto mi riguarda, ci troviamo di fronte alla più grande opera del regista statunitense, o per lo meno, degna di salire sul podio e restarci per l'eternità (nella mia classifica personale si è piazzato al primo posto insieme a 'Kill Bill' e 'Inglourious Basterds').

Se ne avete possibilità, gustatevi IL CINEMA nel glorioso 70mm, dato che nel formato digitale (in uscita nelle sale il prossimo 4 febbraio) perderebbe di gran lunga la sua consistenza. Per il resto, nuovamente grazie Q.

 

"Cominciate a farvi un'idea?"

 

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