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The Hateful Eight

Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film

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maurri 63

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Hateful Eight

di maurri 63
3 stelle

Tarantino replica sé stesso: lunghi, inutili dialoghi; sparatorie concentrate nella parte finale; attesa di eventi che (forse) possono succedere. Stantìo, meccanico, incolore, ripiega sullo "splendore" del 70 mm (...glorioso) per oscurare la mancanza d'idee e girare all'infinito con la stessa formula, con sprezzo dell'intelligenza dello spettatore

Ci sono giorni in cui non mi riesce nulla.

 

Usa, studi della Weinstein Company.

"Ciao, Quentin"

"Ciao, ragazzi...scusate ma oggi proprio mi sento a terra..."

"Cosa c'è che non va ?"

"Non riesco a scrivere più nulla...lo sapete"

"Dai, Quentin....il tuo prossimo lavoro dovrà essere per forza un film di fantascienza"

"Si, si...solo che ho paura...e se poi non mi riesce bene ?"

"Dai, leggiamolo insieme..."

"Ok".

In una remota località galattica, completamente ricoperta da neve, in una navicella un gruppo formato da un vecchio pilota sta conducendo alla stazione spaziale Alpha, dove dovrà essere giustizia per i suoi crimini contro l'umanità, una delinquente spaziale, Daisy Domerque.

Lungo il percorso, prima uno, poi due autostoppisti chiedono di essere prelevati a bordo della navicella perché le loro autogalattiche sono rimaste in panne. A questo punto, il viaggio siderale si complica: tensione tra gli occupanti della navicella, che obbliga il vecchio pilota, il comandante oggi cacciatore di taglie John Ruth, di provenienza direttamente dall'oblio cui era destinato, prima ad ammanettare i suoi ospiti, poi a fare tappa obbligata presso l'asteroide della vecchia Minnie Mink, un'amica che, con il marito in pensione e le nipoti gestiva una sorta di punto di riunione per tutti gli sbandati del cosmo, sotto l'occhio vigile della Confederazione spaziale degli USAS, gli stati uniti dell'interspazio galattico.

Ciò che nessuno degli occupanti della navicella di John Ruth sa è che certamente l'ospitalità non sarà quella sperata....

"Ma non mi convince troppo"

"Quentin, ma dai! Sei tu che l'hai scritta!"

"Bob, Harvey, non sono certo di volerla girare....magari ero strafatto!"

"Ma no Quentin: tu la condisci con tanti dialoghi di quelli che la gente esce pazza per te....e vedi che frullando un po' il tutto, ne esce fuori pure un film"

 

L'ottavo film di Quentin Tarantino, dunque, nasce come storia interstellare: a chi pratica i generi non sfugge che i grandi Maestri, prima o poi, debbono confrontarsi con la fantascienza. Ma ci sono tanti modi per affrontarla. Nella sua piramidale odissea, "The Hateful Height" non approfondisce nessun carattere; né eleva il rango delle discussioni tra gli interpreti: cinema da chiacchiera, buono per gli affezionati del regista di Knoxville, certamente poco preziosi per tutti gli altri.

La sua granitica e convinta necessità di tenere l'opera sotto controllo frantuma una serie di sequenze di poco conto in esasperanti capitoli (sei, contando l'ultimo) allungati all'inverosimile da continui botta e risposta inattendibili per definizione e ritmo. Alla lunga, la pazienza dello spettatore ne esce provata : se non fosse poi che lo stesso prenda in giro il pubblico, ricapitaolando con un'inopportuna voce fuori campo quanto fino al penultimo capitolo successo. Non avendo la certezza di affrontare la Sci-Fi (che però, a suo modo aveva avuto occasione di frequentare, dirigendo due episodi di "CSI"), Tarantino ripulisce la sua sceneggiatura e l'adatta al genere western che pare essergli più congeniale ma non cancella i debiti verso la fantascienza di Carpenter (peraltro l'utilizzo di Kurt Russel è qui solo strumentale, tanto che l'attore stesso è ingessato da una parte in cui si limita a fare il verso alla sue interpretazioni precedenti) e, soprattutto, verso l'irragiungibile Stanley di "Arancia meccanica", cui la band che lavora nella seconda parte per liberare la prigioniera sembra ammiccare, più che ispirare. Cinema stantìo e noioso, che nasce e muore nel formato cartolina, in cui si denuncia la carenza d'idee, mal supportare dall'assenza di una vera sceneggiatura.Un punto a sfavore anche di tutti quei critici che vedono in un'interpretazione mascherata di Jennifer Jason Leigh una mirabile recitazione: solo una carnevalata, invece, che denota la cinica volontà di identificare la donna come uno strumento (?) del male.

Poca roba, in sostanza. ma, sicuro, c'è chi trarrà givamento dalla visione di questo film , ambientato in soli due set.

Peccato: con 44 milioni di dollari (in ogni caso, meno della metà con cui gira solitamente Tarantino), si poteva confezionare ben altro. 

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