Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
E' Oswaldo Mobray che, imitando il dott. King Schultz e allargando le braccia sul "MA", esordisce:
“ Purtroppo non è propriamente brevissima MA… è consentita la lettura in due tempi con un
intervallo tra i due di circa DODICI minuti “!
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Mi piace il termine “crio, cromo e crono recensione “ per queste mie spontanee e forse un po’ bizzarre riflessioni su quello che, almeno per il sottoscritto, rappresenta un ulteriore grande capolavoro di Quentin Tarantino.
-“Crio” semplicemente in quanto la prima traccia l’ho abbozzata in uno chalet sopra Gressoney dove le distese innevate potevano solo ricordare approssimativamente il candido paesaggio invernale del Wyoming, ma dove il freddo ( garantisco identico nel ridurre le vibrazioni degli atomi) mi ha perfettamente immerso nelle scene girate in esterni e, ancor più, dentro l’emporio con la condensa del respiro in primo piano, effetto dovuto all’ambiente artificialmente refrigerato come richiesto dalla regia.
-“Cromo” in quanto la fotografia di Richardson non invidia quella di Lubezki tanto nei primi 38 minuti degli esterni quanto nei restanti degli interni.
Infatti se il bianco della neve, il verde degli abeti o l’azzurro del cielo sono uguali dappertutto, la coppia Tarantino/ Richardson ci regala un tocco particolare: il primo piano di un insolito bosco di bianche betulle con una bianca distesa innevata sullo sfondo, e ancora, sullo stesso sfondo una fantastica diligenza “Liberty old west” trainata da uno stupendo “tiro a sei” composto da cinque cavalli neri a contrasto dell’unico bianco - il destro della prima coppia - che sarà protagonista con il compagno di una splendida sequenza che più avanti avrò modo di descrivere.
“Cromo” altresì dove parrebbe meno evidente: all’interno dell’emporio dove ancor maggiore è stata la difficoltà e la bravura nell’evidenziare, o meglio amplificare, lo spettro del visibile dalle basse frequenze rosse dello splatter alle alte frequenze del blu delle finestre, quindi dal marrone degli interni al giallo/arancio del fuoco, passando (come all’interno della diligenza) per le varie sfumature tese a ottenere, in ordine sparso, strabilianti effetti a mezzo di intelligenti giochi luminosi: dalle barbe dei protagonisti ai fiocchi di neve che dalle fessure del tetto o delle pareti riuscivano a filtrare, oppure ancora sui tavoli o nei controluce, ma sempre contraddistinti da quella maestria tesa a renderli del tutto naturali, pur nel contesto di non facile lettura alla prima visione.
-"Crono" in quanto ne riporterò brevemente la trama seguendo l’ordine cronologico degli eventi, quindi anteponendo il flashback relativo all’arrivo dei quattro “bravi” all’emporio.
- COMPENDIO cronologico degli eventi -
E’ l’alba quando un superbo “tiro a sei” arriva all’emporio di Minnie - tappa obbligata sulla via per Red Rock - attraverso le vergini piste innevate del Wyoming riprese con una stupenda fotografia che esalta i primi radenti raggi solari. A bordo, oltre ai due cocchieri Ed e Judi “Sei Cavalli”, quattro inquietanti passeggeri (Bob il Messicano, il boia Oswaldo Mobray , il cowboy Joe Gage, e il loro capo Jodi Domingray) che, scesi ed entrati nel locale accompagnati dall’altrettanto inquietante colonna sonora, con poche parole si presentano al cospetto della proprietaria Minnie, del suo compagno Sweet Dave e dei due lavoranti di colore Charly e Gemma, oltre che dell’unico avventore presente: l’anziano ex Generale sudista Sanford Smithers. L’atmosfera all’interno dell’emporio è calda ed accogliente grazie all’ospitalità delle due “dotate “ addette alla cucina Minnie e Gemma oltre alla bionda e frizzante Judi Sei Cavalli (così chiamata, spiega lei stessa ai presenti, in quanto è l’unica ragazza della zona in grado di guidare un tiro “a sei”). I dialoghi sono minuziosamente calibrati per smussare la tenebrosità dei quattro: Judi sta spiegando le sue origini neozelandesi a Joe il quale finge di essere interessato; Sweet Dave (dal nome si intuisce l’indole) seduto sulla sua inseparabile poltrona gioca a scacchi con il Generale sotto lo sguardo di Bob, finto spettatore; Oswaldo Mobray gigioneggia mentre Jodi intrattiene le signore con finezze linguistiche in francese.
La “ pulpsequenza” che si sta preparando è la quintessenza della vigliaccheria e della brutalità perpetrata contro persone inermi e innocenti al solo scopo di liberare la sorella di Jodi il cui arrivo è previsto più tardi con la successiva diligenza.
L’intento dei quattro “very hateful” è di eliminare tutti (tranne il Generale in quanto, dopo averlo ben istruito sul copione che dovrà memorizzare per salvare la pelle, sarà loro utile per rendere più verosimile la commedia che dovranno recitare) per poi assumere le vesti dei gestori e relativi clienti dell’emporio.
I quattro “bastardi senza gloria” non hanno fatto però i conti con un “classico” di Tarantino:
L’IMPREVISTO
che li porta dritti in rotta di collisione con altri tre, forse anche loro blandamente bastardi, ma con un po’ di gloria alle spalle.
Questi ultimi sono i passeggeri della seconda diligenza diretta a Red Rock che inizialmente, oltre al cocchiere O.B., trasporta unicamente il cacciatore di taglie John Ruth, detto il boia, con alla catena la pluriricercata Daisy Domergue (sorella del famigerato capo di un’altrettanto famigerata banda di delinquenti: Jodi Domingray, uno dei quattro "bastardi" sopracitati) con sulla testa una taglia di 10.000 dollari. A seguito di ciò che è ormai noto ai più, lungo il tragitto in direzione dell’emporio mentre imperversa una tremenda tempesta di neve, la diligenza incontra dapprima il Maggiore Marquis Warren- ex ufficiale dell’Unione ora anche lui cacciatore di taglie - seduto sui corpi di tre ricercati in mezzo alla pista e, poco dopo, il futuro sceriffo di Red Rock, Chris Mannix, figlio del capo dei cosiddetti “Manigoldi di Mannix”, una banda che qualche anno addietro aveva combattuto a fianco dei Confederati durante la Guerra di Secessione.
Quando i quattro vermi in attesa all'interno dell'emporio, dopo aver giustiziato a sangue freddo tutti fuorché il generale e aver ripulito l’ambiente, intravedono nella bufera la diligenza - che pensano dovrebbe avere a bordo la sola Daisy con John Ruth oltre il cocchiere - scatta la messinscena con Jodi che si nasconde nello scantinato e gli altri tre, oltre il Generale, pronti a interpretare le loro parti che condurranno, attraverso un susseguirsi di magistrali sequenze, a un eloquente epilogo di silenzio e morte.
-Parentesi tecnica di facoltativa lettura riservata ai profani desiderosi di soddisfare fugacemente la curiosità sull’ultima chicca di Tarantino:
L’ULTRA PANAVISION 70
I pochi fortunati che hanno assistito alla proiezione del film in uno dei tre cinema italiani dotati della tecnologia adatta (io non sono fra questi), hanno potuto beneficiare delle peculiarità che Tarantino ha ritenuto ottimali per questo suo ottavo film. Ma, in breve, cosa differenzia questo costoso sistema (non più utilizzato da oltre 50 anni) dal normale formato digitale a cui siamo abituati? Innanzitutto si tratta di un formato su pellicola larga 70 mm (anziché le normali pellicole che prevedono 35 mm di larghezza) che dovrebbe essere in grado di restituire una luminosità e profondità di colore - e forse di definizione, ma su questo aspetto ci sono opinioni contrastanti - superiore al digitale
( l’ideale sarebbe visionare entrambi i formati), ma la peculiarità più macroscopica consiste nel cosiddetto “aspect ratio” (rapporto d’aspetto) ovvero il rapporto tra la larghezza e l’altezza dell’immagine (ad esempio i vecchi televisori in 4/3 avevano un R.A. di 1,33 essendo la larghezza i quattro terzi appunto dell’altezza, i nuovi televisori in 16/9 hanno un R.A. di 1,78, cioè la base è 1,78 volte l’altezza dell’immagine, mentre il normale aspetto del cinema digitale ha un R.A. di 2,35 e per questo motivo quando guardiamo un recente film in tv, se non vogliamo perdere una parte del filmato a destra e un’altra a sinistra, dobbiamo accettare di avere due strisce scure orizzontali, una sopra e l’altra sotto il fotogramma). La ditta californiana Panavision, costruttrice delle lenti anamorfiche necessarie per ottenere questi formati (particolari ottiche supplementari solitamente cilindriche che, montate davanti all’obiettivo in fase di ripresa, “ comprimono”, cioè riducono l’immagine in larghezza – se fosse possibile vedere un fotogramma, le persone riprese apparirebbero alte e smilze oltre misura - per poi estenderla nuovamente con altrettante lenti anamorfiche complementari in fase di proiezione), aveva brevettato a suo tempo il formato “Ultra Panavision 70” in grado di ottenere addirittura un aspect ratio record di 2,76 cioè un’immagine con una larghezza di ben 2,76 volte l’altezza, in grado quindi di riprendere con un angolo particolarmente ampio la scena (senza le distorsioni delle ottiche grandangolari che nulla hanno a che vedere). Il problema consiste nel formato di cui le sale sono normalmente dotate che, per poter visualizzare per intero un simile ratio, devono sacrificare la parte superiore e inferiore dello schermo, parti che resteranno inevitabilmente nere.
GENERICHE CONSIDERAZIONI.
Sono consapevole di non possedere il dono della sintesi per cui nello scrivere questo panegirico mi perderò più di una volta ma, a parziale discolpa, a differenza dell’altro ipermetraggio quasi simultaneo di Inarritu (Revenant) per il quale mi ero accontentato di tre visioni, questa immensa performance di Tarantino mi ha richiesto, e richiede, molteplici visioni per poter cogliere ogni flebile nuance sia dal pdv fotografico che della sceneggiatura; quest'ultima, come sempre, uno dei punti di forza del grande regista.
Riterrei opportuno quindi non soffermarsi al primo superficiale ascolto (visione) in quanto i dialoghi risultano ancor più del solito ottimizzati nei particolari ottenendo, grazie alla loro sottile ricercatezza che gradualmente emerge visione dopo visione, una vera opera d'arte atta a deliziare lo spirito e la mente dello spettatore .
Una sceneggiatura, questa orchestrata da Tarantino, atta a sondare la psicologia di John Ruth e dei suoi compagni di viaggio, ma mirata altresì a evidenziare la grande differenza tra costoro (Daisy esclusa ovviamente) e i quattro banditi che li hanno preceduti all’emporio. Le personalità di questi ultimi non possono ovviamente essere genuine, dato lo scopo per cui sono venuti, quindi siamo in possesso di dati superficiali e inaffidabili. Unica nostra certezza quella di trovarci di fronte a individui senza scrupoli e senza morale, spietati assassini della peggior specie intenti a recitare un copione indispensabile per il loro diabolico piano.
Non così per John Ruth, Marquis Warren e Chris Mannix.
Nei primi 38 minuti attraverso la lirica della sceneggiatura coadiuvata dalla lirica della potente fotografia, entrambe connesse alla terza lirica, quella strepitosa di Morricone, Tarantino ci fornisce i requisiti per collocare i tre, in modo non troppo approssimativo, in altrettanti tre degli otto
“ TIPI PSICOLOGICI di CARL JUNG ”. (le prime sedici righe del seguente paragrafo riguardano i cenni storici, quindi di non indispensabile lettura).
-Brevemente: Jung, nel suo testo del ’25, illustra 20 anni di ricerche sulle specificità che compongono il carattere della persona (l'indole) individuando nei termini “estroverso” e “introverso” due modi diversi di rapportarsi al mondo esterno (l’oggetto).
L’estroverso ha un rapporto positivo, studia le circostanze e cerca di adattarsi il più possibile cercando l’approvazione altrui e di non esprimere pareri troppo difformi dal gruppo, mentre l’introverso tende a rimanere distante dall’oggetto in quanto più attratto dal suo mondo interiore. Le sue energie, a differenza dell’estroverso, non sono rivolte all’esterno ma concentrate sulla sua individualità: predilige la solitudine, ha un atteggiamento schivo calibra bene le parole e tende solitamente al pessimismo.
Questa dicotomia rappresenta due attitudini generali e contrapposte, ma a ognuna di queste Jung abbina una delle sotto-attitudini da lui individuate (sentimento, pensiero, sensazione e intuizione) ottenendo quindi un ottetto di modi differenti con i quali rapportarsi al mondo. Alla luce di queste nozioni è sufficiente un’attenta analisi dei dialoghi, sulla diligenza prima e nell’emporio poi, per tentare una loro collocazione. Personalmente destinerei:
-John Ruth detto “il boia” tra i diplomatici, espansivi e socievoli “Sentimentali Estroversi” (anche se epidermicamente non parrebbe, in quanto lui stesso tende a mascherare, a causa del suo "mestiere", questa sua tendenza che tuttavia trapela da vari suoi involontari atteggiamenti).
-Maggiore Marquis Warren tra i riflessivi, chiusi, dediti a pensieri astratti e indifferenti al mondo esterno “ Pensatori Introversi”; è il più facile da definire.
-Capitano Chris Mannix tra gli opportunisti, dinamici, con spiccato senso degli affari e una buona carica di entusiasmo “ Intuitivi Estroversi”.
-Una certezza su tutte: i tre non hanno nulla a che vedere con i componenti la banda di Jodi e sua sorella; la loro forma mentis, seppur con le differenze dovute ai diversi vissuti, evidenzia una lealtà di fondo che li accomuna e che non consentirebbe loro di appartenere a organizzazioni criminali nel senso lato del termine.
Per sottolineare tale sensazione sarebbe ottimale allegare le sequenze più significative ma, temo, risulterebbe eccessivamente dispersivo per cui mi "limiterò" a riportare alcuni dialoghi (che ormai conosco a memoria) confidando sul lettore (mi rivolgo ovviamente a coloro che abbiano avuto modo di vedere il film almeno una volta) il quale, leggendoli con il supporto di qualche immagine, avrà modo di riportare alla mente le relative scene.
-DIALOGHI significativi in ordine sparso con qualche commento-
-L'incontro tra il cacciatore di taglie John Ruth e il Maggiore Marquis Warren merita un'attenzione particolare.
John Ruth, con tono burbero rivolto a Warren prima di riconoscerlo: “Alza le mani ben al di sopra del cappello, lentamente come la melassa”, e prosegue: "Porca vacca, ci siamo già visti noi, colonnello tizio caio Warren o sbaglio? "Warren: "Anch'io conosco te, abbiamo mangiato insieme una bistecca a Chattanooga, sei John Ruth il boia!" Risposta:" Proprio io, e perché non provi a spiegarmi cosa ci fa un africano cacciatore di taglie in giro nella neve nel bel mezzo del Wyoming?” E poco dopo:" E non sai niente di questa puledra? Neanche come si chiama? Allora direi che questa diventa per te una carrozza fortunata! Maggiore Warren, lei è Daisy Domergue! Domergue, per te lui è il Maggiore Warren!" Risposta laconica di Daisy: "Salve negro!". John: “ Donna, non sai che questi tizzoni non amano più essere chiamati negro? Lo trovano offensivo!” Warren sbigottito, ancora in piedi fuori della carrozza: "E chi è questa Daisy Domergue?" John: ”Un’inutile bagascia assassina, ecco chi è!" E ancora:” Quei 10.000 sono già nelle mie tasche, quindi non muoio dalla voglia di dispensare posti in carrozza a dei professionisti ancora in affari!"
A questo punto esordisce O.B. il cocchiere: “Mi dispiace interrompere le vostre chiacchiere ma abbiamo una bufera gelida e bastarda che ci annusa le chiappe, forse è il caso di filare a ripararci”. Risposta di John:”Lo so bene, chiudi quella bocca e tieni a bada i tuoi cavalli mentre PENSO”!
Particolarmente significativo, per capire la psicologia di Daisy, l’episodio della gomitata che John Ruth le affibbia in pieno viso in seguito ai commenti di quest’ultima sulle sue capacità intellettive. John: ”Quando ti dò una gomitata in faccia vuol dire chiudi il becco, è chiaro?" La sequenza riprende subito dopo con lo stupore di Warren che passa dalla risata allo sbigottito vedendo l’inquietante espressione di Daisy, mista tra la complicità e il diabolico con quell’ occhiolino a lui indirizzato leccandosi il sangue attorno alla bocca.
Poco dopo beneficiamo di un altro forte “segnale” per collocare John nel giusto contesto psicologico: è eloquente il suo imbarazzo nel non saper come iniziare il discorso teso a soddisfare la sua genuina e infantile curiosità di rivedere una seconda volta la lettera che Lincoln parrebbe aver inviato a Warren. Vorrebbe esordire pronunciando qualcosa, ma poi ci ripensa e nei tre o quattro secondi successivi si limita a esplicite espressioni e movimenti del viso, poi finalmente (botta e risposta): “Ce l’hai ancora?" “Ce l’ho ancora che cosa?" “La lettera di Lincoln” “ah, certo che ce l’ho ancora”, “ ce l’hai qui?" “Proprio qui”. “Ascolta, so che devi avere molta cautela con quella e che non ti piaccia farle fare troppe volte fuori e dentro dalla busta, ma se non chiedo troppo mi piacerebbe proprio rivederla!" Vera chicca della sceneggiatura tarantiniana, bellissimo e quasi commovente passaggio a contrasto del burbero ma non spontaneo atteggiamento di John Ruth “il boia”!
John, con occhi lucidi e voce commossa rivolto a Daisy: ”Sgualdrina, sai cos’è questa? E’ una lettera scritta da Lincoln, scritta da Lincoln a lui!" Subito dopo una delle esilaranti e nel contempo sdrammatizzanti scene che con cadenza regolare Tarantino caratterizza le sue opere: in seguito allo sputo di Daisy sulla lettera, Warren le assesta un ceffone tale da scaraventarla rovinosamente fuori dalla diligenza trascinando... John al quale è incatenata!
Sono ancora nella neve quando l’attenzione si focalizza sulla new entry apparsa in distanza (e sul grottesco dialogo tra John e Marquis prima che costui si avvicini), tal Chris Mannix che, con la sua faccia da schiaffi e i suoi poco virili modi di interagire, si incastra in modo eccellente a coronamento degli altri tre personaggi. A bordo un perfetto quartetto con cui Quentin invita lo spettatore a individuare i tasselli di un puzzle psicologico sagacemente efficace per definire un iniziale quadro d’insieme grazie all’acuta sceneggiatura. John a Mannix quando questi è ancora fuori e sta cercando di ottenere un passaggio: “ Farti sentire in svantaggio è un vantaggio che intendo mantenere!"
Non da meno Mannix: “E che ci fate qui, un picnic tra cacciatori di taglie?"
Da queste iniziali interazioni, ancor prima di ciò che risulterà maggiormente evidente nel corso dei successivi accadimenti all’interno dell’emporio, possiamo percepire l’indole del figlio di quello che era stato il capo dei “Manigoldi di Mannix” nel corso della Guerra di Secessione. Nonostante l’appartenenza ai Confederati per motivi più “ereditari” e di educazione che di convinzione autoctona, Chris Mannix evidenzia sin dalle prime battute un’assenza di aggressività che, se al momento non è sufficiente a garantire la trasparenza di ciò che asserisce (pare sia stato designato come prossimo sceriffo di Red Rock), sicuramente lo pone nella posizione intermedia di colui che non dovrebbe comportare grossi problemi.
Nel corso di queste prime sequenze il grande regista è maestro nel delineare le non facili ma sottilmente dettagliate tipologie caratteriali, e i tre all’interno della carrozza (e ovviamente anche O.B.) “rientrano” tra i “duri” con pistola ma – lo capiremo presto- non hanno nulla da spartire con la quarta subdola passeggera e relativi suoi complici che, come accennato nel compendio, si riveleranno individui egoisti, sadici e senza alcuna remora.
Ma si avranno in merito le idee più chiare in seguito.
- All’emporio di Minnie –
All’arrivo:
John:” E tu chi sei?" “Sono Bob!" Dopo le sarcastiche battute sulle presentazioni, nella stalla ha inizio il graduale viraggio, o meglio mixaggio, del western con il giallo; qui, con quei bellissimi fiocchi di neve che assieme alla luce filtrano dal soffitto, Marquis Warren, discreto conoscitore di Minnie e delle sue abitudini, matura le prime perplessità nei confronti di quanto Bob sta asserendo (non posso riportare tutto il dialogo ma, fidatevi, è magistrale; accontentatevi di questo estratto relativo al Maggiore Warren perplesso nel vedere così tanti cappelli a dispetto del divieto di Minnie: ”Hai un atteggiamento laissair faire sui cappelli?" Bob, distaccato e con nonchalance: ”Eh si, sono colpevole, ho un atteggiamento laissair faire sui cappelli”!!!
John Ruth parrebbe meno astuto di Warren, ma è lui a teorizzare per primo ciò che Daisy ambiguamente ma provocatoriamente conferma, cioè di essere in combutta con qualcuno dei presenti.
Daisy interpellata da Warren: ”Che cos’ho da dire sul delirio di John?" Con voce rauca e quasi sussurrata: ”Che ha assolutamente ragione, io e una di queste persone siamo in combutta, aspettiamo solo che tutti si mettano a dormire ed è allora che vi ammazzeremo!" Ovviamente l’atmosfera si tinge sempre più di giallo senza però cambiare il registro dei dialoghi grotteschi e surreali che ci permette di inquadrare, se non le intenzioni, almeno l’indole dei nuovi personaggi. Bella la scena del mexican standoff verbale tra il generale Smithers, il capitano Mannix e il maggiore Warren; non da meno la sottile lectio magistralis rivolta a John e Daisy da Oswaldo sulla giustizia: "E' l'assenza di passione la vera essenza della giustizia, perché la giustizia, applicata senza senso di passione, corre sempre il pericolo di non essere più giustizia''. Altro tassello, questo, non facilmente apprezzabile alla prima visione ma le cui parole, in seguito, quando già si conoscerà l’evolvere della situazione e sarà possibile una maggior attenzione, acquisiranno quel plus valore “artistico” che costituisce ormai un classico per Tarantino. Il personaggio di Joe Gage, cowboy “ermetico” ma non particolarmente ostico, i suoi dialoghi sempre sussurrati ma con voce bassa e cupa trasmettono una grande padronanza di sé, come - tra le tante – questa sua risposta a John: ”Si invece, sono proprio uno di quelli che tornano a casa per trascorrere il Natale con la madre”!
Come non notare il sarcasmo nelle molteplici “piazzate” urlate a più voci all’indirizzo di chicchessia ogni qualvolta si renda necessario richiudere la porta inchiodandola dall’interno interponendosi alle varie
SEQUENZE nell'emporio, alcune a caso tranne le prime due.
-Ormai famosa l’ “ouverture” di Morricone nel suo angosciante e tenebroso incedere “accompagnata” da una scenografia da galleria d’arte moderna con quel tronco, al momento parzialmente innevato, in cui è stato magistralmente e anonimamente scolpito un Cristo sconsolato e desolato, ma è altresì degna di nota l’altrettanto mirabile sequenza al rallenty della prima coppia di cavalli, uno nero e l’altro bianco (non a caso), il cui avanzare nella neve fresca viene ripreso dalla mdp dapprima alle zampe anteriori, e poi alle teste che, con movimento a volte alterno e a volte sincrono, evidenziano con il loro ansimare la notevole fatica profusa.
- E’ innegabile che alcune scene non manifestino nell’immediato la loro “forza” sdrammatizzante, quasi a voler aprire una parentesi esilarante in un contesto pesante o comunque non allegro. E’ il caso di O.B. che, inviato da John a svuotare nella latrina il secchio con le pistole smontate, rientra in perfetto “stile tarantiniano doc” schiantandosi rovinosamente sul pavimento (insieme a una carriolata di neve) mentre tutti sono a tavola, dopodiché, imprecando e rialzandosi mezzo assiderato: ”Sei un maledetto figlio di puttana, ci stavo rimettendo la pelle là fuori, non uscirò mai più,mai più con quella merda, mai più! Chiaro?"
-Degna di nota, per chi non ne fosse già al corrente, la scena in cui John Ruth (poco propenso a metabolizzare l'estemporanea variante al famoso brano di Bob Dylan) strappa dalle mani di Daisy la chitarra per sfasciarla contro il muro. Peccato si trattasse di una Martin originale del 1870 di inestimabile valore, prestata per l’occasione al pignolo Quentin dal Martin Guitar Museum della Pennsylvania! Così, nel corso delle riprese, mentre il Quentin sornione sorrideva in disparte gongolando per la inattesa ma genuina reazione di Jennifer (lei era al corrente della situazione), Kurt Russell, convinto di avere in mano una delle sei copie che erano state approntate, perpetrava l’irrimediabile danno. Però la scena è risultata perfetta:-)
-Si potrebbe dubitare che il Maggiore Warren - anche lui presente nel 1862 alla battaglia di Baton Rouge e quindi testimone delle nefandezze perpetrate dalle truppe confederate sotto il comando del generale Smithers - abbia orchestrato interamente l’episodio del figlio di quest’ultimo inventandosi di sana pianta ogni particolare al fine di stimolare una reazione del generale però…è opportuna una precisazione: Chris Mannix sta effettivamente urlando che quella di Warren è una provocazione inventata a caldo dopo aver sentito il generale parlare del figlio, MA non può essere andata così in quanto Warren e Bob sono rientrati dalla stalla DOPO le spiegazioni di Smithers! Questo ovviamente non inficia la tesi, assolutamente non inverosimile, che il Maggiore possa aver calcato la mano nel raccontare l’episodio per ottimizzare la possibilità di una reazione di Smithers.
-Tutto il prosieguo è un crescendo di indagini da consumati detective, e ogni termine, apparantemente casuale, rientra nella ricercata sceneggiatura da visibilio per i fan tarantiniani; come la disquisizione di Marquis Warren sullo stufato di Minnie o quella relativa alla poltrona di Sweet Dave, oppure la ancor più eclatante scena del
- caffè avvelenato-
-Questa " E’ “ la scena tarantiniana per antonomasia, tanto fantastica per gli appassionati quanto orripilante per gli altri. Fotografia accuratissima con luci e penombre ad hoc per evidenziare il blu dell’imbrunire dalle finestre. Pur nella drammaticità del funereo contesto dei due (O.B. e John) orribilmente uccisi dall’effetto emorragico del veleno, i dialoghi mantengono il tono sarcastico per voce del capitano Mannix…
Maggiore Warren: ”Ma O.B. non portava nessuno alla forca, eppure ora è lì morto stecchito o mi sbaglio?" Mannix: ”Questo è poco ma sicuro, brutti figli di puttana!" Di nuovo Warren: ”Come chiunque di noi che avrebbe potuto bere quel caffè!" Mannix che aveva in effetti buttato il caffè un nanosecondo prima di portarlo alla bocca: ”Come me santa miseria!" Esclamazione pronunciata con tono quasi patetico che riporta alla mente il Vincent di Pulp Fiction durante l’iniezione a Mia.
L’arringa che segue da parte del Maggiore (e il conseguente “tiro al bersaglio”) potremmo ascoltarla una dozzina di volte senza annoiarci, ma il bello per i gagliardi (tarantiniani) arriverà tra poco con il colpo sparato dal “sommergibilista” Jodi all’indirizzo dei “gioielli” di Warren a cui fa seguito di tutto in rapida sequenza, è sufficiente non essere deboli di stomaco e tenere bene a mente come lo splatter di Tarantino preveda quel voluto eccesso che agli occhi dei sostenitori funge paradossalmente da antidoto contro spiacevoli effetti collaterali.
-Degno di menzione l’amorevole scambio di battute tra Daisy (con ormai l’affascinante "maquillage" a base di sangue e, di li a poco, grumi di materia grigia in faccia) e il fratello Jodi riemerso dalla botola: “Come stai demente?” Daisy : “meglio ora che vedo la tua orrida faccia”
(notare che è lei a dire a lui “la tua orrida faccia”)!
- I dieci minuti che seguono, in cui la donna gioca l’ultima carta cercando di convincere il mal concio Mannix a cambiare bandiera, precedono l’ultima sparatoria, e la tensione sale ancora allorquando Warren, premendo il grilletto in direzione di Daisy, scopre di aver finito i colpi! Imbattibile l’espressione di Samuel Jakson nella scena al rallenty in cui implora Mannix affinché gli porga l’altra sua pistola. Ma la sceneggiatura non molla quando quest’ultimo sembra interessato alla proposta di Daisy, per cui la voce (sempre al rallenty) di Warren prosegue incredula “Tu vuoi fare un accordo con questa diabolica puttana?" Mannix, dando un colpo al cerchio e uno alla botte: “Calmati, chi ha detto che voglio fare un accordo, sto solo parlando”, ma nel contempo prosegue nei suoi negoziati fin quando, con innegabile nostro sollievo e sorriso a 32 denti dello sbigottito ma rinfrancato Warren, pone fine al gioco con le parole: ”Penso che tu sia quella che sei sempre stata, una bagascia bugiarda!" Ma, colpo di scena, Mannix sviene! Tensione nuovamente alle stelle e terrore negli occhi dell’immobilizzato Warren in quanto Daisy sta cercando di approfittarne per recuperare una pistola, previo un "piccolo intervento" al braccio dell'ormai "fu"John Ruth, ma, altro colpo di scena in rapida successione, Chris Mannix riprende conoscenza permettendo un epilogo degno di Tarantino (anche se il finale da parte di alcuni è stato tacciato di misoginia; accuse a mio parere fuori luogo data l’epoca e il contesto oltre che alla malvagità del soggetto che qui non viene considerato se di sesso maschile o femminile, ma esclusivamente in base alla perfida e falsa indole che lo contraddistingue). Daisy è appesa agonizzante e la sorte degli altri due è segnata, ma è qui che l’uomo bianco e l’uomo di colore conosciuti
(da noi e tra di loro) sulla diligenza confermano le impressioni che avevano lasciato trasparire. Dopo aver “reso omaggio” al burbero John Ruth nel modo che conosciamo, ora, messe da parte le convinzioni sudiste/nordiste rimangono gli ideali, quelli dell'etica e della morale congenitamente previste dal DNA, per cui, seppur indirizzati verso diversi destini dal corso degli eventi, ora non solo accettano ma desiderano pari dignità di fronte alla morte. In questi ultimi minuti proprio Mannix, che aveva reso evidente la non autenticità della lettera di Lincoln (con grande e sincera delusione di John Ruth), sceglie di immedesimarsi lui stesso nell’effetto che Warren si prefiggeva di ottenere ogni qual volta si fosse reso opportuno esibirla. Marquis Warren estrae la lettera e Chris Mannix, con un filo di voce e un filo di Morricone in sottofondo, legge le coinvolgenti parole divenute ora autentiche nella loro capacità di attenuare la tensione rasserenando la situazione seppur in extremis: “La mia cara e vecchia Mary mi chiama, quindi immagino sia tempo di andare a dormire. I miei rispetti, Abramo Lincoln!"
Con quest’ultima sublime frase termina la lettura.
Ancora una volta chapeau Quentin, chapeau taglia XXL!!!
Due parole sul “RITMO”.
I detrattori non mancano mai, è fisiologico; a volte modificano il loro parere, altre volte perseverano, ma alle critiche relative all’eccessiva durata del film oppure al ritmo troppo lento di alcune scene rispondo prendendo a prestito lo stralcio riportato nella recente recensione pubblicata dall’amico Valerio (Spopola) su “Gertrud”, dove il regista Dreyer così risponde all’”accusa” di produrre film lenti:
“Qualcuno prima o poi dovrà spiegarmi che cosa si intende quando si parla di “lentezza”. Per me ritmo e ambiente nei film sono strettamente legati, sono inscindibili, e questo vale anche per “Gertrud”, pellicola alla quale ho assegnato il “passo” di cui aveva bisogno".
Risposta perfettamente in linea anche per T.H.E. , è sufficiente cambiare titolo, regista e data (il ragionamento è sempre attuale).
Sono oltremodo convinto che i minuti dedicati probabilmente non dovessero essere di più ma certamente non di meno; e, ancor più, che ogni parola della sceneggiatura fosse necessaria per ottenere ciò che la regia ha inteso trasmettere e infondere nello spettatore.
Le performance del cast sono state stellari senza distinzione (unico piccolo neo: personalmente avrei preferito Christoph Waltz nelle vesti di Mobray/Schultz, o piuttosto un Tim Roth genuino e meno scimmiottante il dott. Shultz) e direi ottime anche le performance dei doppiatori, perfettamente a loro agio nelle parti e finalmente esenti da litigi con i congiuntivi.
- Su Morricone ogni commento è superfluo, un capolavoro nel capolavoro.
- I collegamenti, come sempre, sono tanto numerosi quanto effimeri; l’unico confermato dal regista pare essere la sua intenzionale metafora sulla problematica evoluzione della questione razziale degli Stati Uniti culminata con la Guerra tra Unionisti e Confederati.
L’altro collegamento con il romanzo giallo “ Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie è condivisibile solo parzialmente essendo la trama notevolmente diversa. In tutti e due i contesti non ci sono sopravvissuti, ma in T.H.E. si conoscono gli assassini e la loro motivazione molto prima del finale; una parte delle vittime poi, a differenza del romanzo, non era designata a priori ma puramente dettata dalle circostanze.
-Pare che qualcuno abbia obiettato a Tarantino che gli “odiosi” privi di ogni morale risultino essere solo cinque e non otto, a fronte di un totale di ben sedici morti ! (In effetti non è facile rendersene conto nell’immediato).
Interpellato Quentin attraverso il mio “ canale personale riservato” ha risposto laconicamente: “ Con quale certezza abbini il termine hateful e il numero eight del titolo ai personaggi? Sono eight anche i miei film, e non ti è venuto il dubbio che l'aggettivo hateful a questi potrebbe essere riferito? Pensaci e scegli tu!"
Totale libertà di pdv !!!
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