Regia di Woody Allen vedi scheda film
Woody Allen torna e ci riprova in questo 2015 targato omicidio, amori e tradimenti, teorie filosofiche da poeti maledetti e bizzarri aforismi sul sesso. Ma è il peccato di Caino a prevalere dominando interamente la scena del suo ultimo film, Irrational Man. Allen non è certo estraneo a tali tematiche e alcuni dei suoi esperimenti passati ne sono la prova. Ci aveva provato nei capolavori Crimini e Misfatti e Match Point, nei quali i rispettivi protagonisti Martin Landau e Johnatan Rhys Meyers erano costretti a convivere con un opprimente peso sulla coscienza, logorati dalle colpe di cui si erano macchiati. Poi fu la volta del mediocre Sogni e Delitti, nel quale gli ottimi presupposti di partenza non hanno trovato il favore di una regia all'altezza del compito.
Il comico newyorchese torna alla ribalta offrendo una rivisitazione generale delle suddette pellicole all'interno di una commedia che fatica a convincere e a guadagnarsi le attenzione che giustamente meriterebbe. La trama semplice è costituita dalla solita miscela di amore e sesso, tradimenti e colpe, tutto dosato in un un minestrone esistenziale infarcito di citazioni colte e raffinate ma a tratti un po' ripetitive. A convincere sono invece i due protagonisti, un Joaquin Phoenix e una Emma Stone assolutamente in parte, caratterizzati molto bene dalla penna raffinata del regista americano. Phoenix interpreta un cinico professore universitario di filosofia che grazie al potente charme e all'eterna pancia alcolica fa innamorare senza troppa fatica chiunque gli capiti a tiro. Il personaggio di Emma Stone è una delle studentesse del corso, una ragazza allegra e solare, raffinata e molto intelligente che grazie alle minuziose attenzioni donatele dal regista trasuda di una carica sensuale senza paragoni.
Allen struttura il film in due blocchi ben definiti, alternando a una prima parte pressoché romantica una seconda dai toni decisamente più drammatici. Fino alla prima metà Irrational Man si presenta come una storia di amori proibiti costellata da bizzarre avventure sessuali e riflessioni confusionarie sulle teorie di Kierkegaard e Dostoevskiy. Lo snodo narrativo, inaspettato e del tutto casuale, arriva durante un pomeriggio di sole con i nostri due lovers seduti a una tavola calda della città. Bastano pochi secondi per trasformare il film in un giallo misterioso e “irrazionale” dove a farla da padrone è ancora una volta un omicidio e tutto ciò che ne consegue.
Interessante è soprattutto l'ambivalenza con la quale Allen caratterizza i due protagonisti, giocando per tutto il film sulla dualità tra personaggio negativo e positivo. Nella prima parte Joaquin Phoenix è presentato come una persona depressa dedita all'alcolismo, è estremamente scontento e insoddisfatto della vita ma lo spettatore non fatica troppo a riconosce in lui un personaggio positivo e simpatico. Emma Stone è bella come il sole, giovane e piena di vita ma spesso e volentieri alcuni suoi comportamenti vengono recepiti in modo negativo, facendo di lei un personaggio non sempre simpatico. A seguito dell'omicidio i loro ruoli cominciano poco a poco ad invertirsi fino alla scena finale che rappresenta lo stravolgimento definitivo. L'insegnante drogato di vitalità, felice ed intraprendente, si rivela essere un ignaro assassino e una persona pericolosa mentre la giovane studentessa, vittima impaurita delle follie del suo insegnante, esce di scena vittoriosa, premiata dal fato per la sua morale corretta (si ritorna al discorso della fortuna analizzato in Match Point).
Il tema della morte, spesso al centro delle pellicole di Woody Allen, è trattato ancora una volta in maniera decorosa nonostante vengano ripetuti molti degli aspetti già analizzati in passato. Il senso di colpa dostoevskijano, entità costante in Allen, è in quest'occasione assente, sostituito da un senso di fiducia e sicurezza nei confronti delle proprie azioni. Contrariamente alla triade Landau-Rhys Meyers-Farrell, il personaggio di Phoenix non vi è afflitto ma al contrario ne trae vigore e beneficio.
La fine di una vita, quella del giudice-vittima, diviene automaticamente (ri)nascita per un'altra, quella del protagonista stesso. L'omicidio non è più tormento e oppressione ma diventa in questo caso dispensatore di buone intenzioni e buoni propositi che permetteranno a Phoenix di ritrovare la voglia di vivere. Nell'estremo finale del film Allen decide di punire definitivamente il suo peccatore rendendolo vittima dell'inesorabilità del caso. A essere punita è probabilmente la presunzione che giustifica l'atto stesso, mossa da un movente pressoché inesistente. Il regista pone particolare attenzione alla natura morale dell'omicidio, se considerarlo effettivamente un atto sbagliato e immorale o scegliere di giustificarlo sulla base delle proprie motivazioni. Fino a che punto l'omicidio può essere considerato immorale se la vittima designata è qualcuno che merita la morte? Non c'è nessuna legge apparente che regola la morale dell'uomo e nemmeno il suo destino, né esiste una forza suprema che stabilisce cosa sia giusto o sbagliato in un mondo in cui tutto è abbandonato al caso. Allen sembra suggerirci l'idea di una sottile linea che divide giusto e sbagliato, morale e immorale, ed è proprio a causa di ciò che i due estremi finiscono spesso per confluire e mescolarsi, fino a che risulta quasi impossibile distinguerli.
Nonostante siano numerosi gli aspetti positivi il film sa di già visto, puzza di storia passata che ormai stenta a trovare qualcosa di nuovo da dire. Aggrappandosi astutamente alle glorie vissute, Allen giostra con mano esperta il tutto offrendo ancora una volta una regia precisa e ordinata ma che si ferma al dovuto richiesto. A tratti stanco e privo di privo di idee originali finisce per (ri)copiare sé stesso apprestandosi ancora una volta a trattare argomenti ampiamente discussi senza trovare nuovi spunti da proporre. Anche la storia, se pur a tratti interessante e bizzarra, non soddisfa a pieno le aspettative e finisce per sembrare una minestra riscaldata. Nota di merito per le musiche, come sempre eccellenti nei film di Allen, e a The In Crowd di Ramsey Lewis, motivo trainante dall'inizio alla fine. Questo non basta a rendere giustizia a un film che avrebbe potuto dare molto di più. Ma dopo cinquant'anni di carriera e quarantacinque film alle spalle certe sviste sono più che comprensibili e soprattutto perdonabili. Ci si aspetta sempre il meglio da un genio come Woody Allen ma ci riteniamo soddisfatti anche dei prodotti meno riusciti perché in ogni caso sappiamo che stiamo osservando del cinema colto ed intelligente come solo lui è in grado di fare.
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