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Irrational Man

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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La recensione su Irrational Man

di alan smithee
7 stelle

FESTIVAL DI CANNES 2015 - FUORI CONCORSO

Delitto + castigo secondo Woody Allen, che non demorde e continua imperterrito a raccontarci storie e situazioni che in qualche modo contraddistinguono le ossessioni e le fissazioni, gli interessi ed i gusti del regista, che quasi sempre si identifica o parteggia per il suo protagonista. In questo caso un professore in crisi depressiva che giunge in un college di una piccola cittadina degli States, cercando di allontanarsi e dimenticare le tristi vicissitudini relative al suo sfortunato matrimonio.

In questo senso a molto serviranno la presenza di una avvenente coetanea collega in cerca di uomini e colleghi da sedurre, e ancor più di una brillante studentessa, col quale il docente instaurerà un rapporto di amicizia ed intimità certamente poco congeniale per un rapporto professore-studente.

Ma sarà soprattutto il coinvolgimento casuale, oggettivamente immotivato, del docente in un intrico avente per epicentro una poco plausibile decisione di un giudice circa l’affidamento di un ragazzo ad un padre divorziato ed ai danni della madre soccombente, a far tornare al depresso ormai cronico, la voglia di vivere, il riaffiorare del sapore inebriante della vittoria, l’adrenalina da rischio e da pericolo di venire smascherati quando un’azione delittuosa diviene l’unico sistema per risolvere una crudele ingiustizia che la legge spesso iniqua e inerte al buon senso sta per rendere concreta.

Il problema più grave sta nel fatto che il riassaporare i piaceri della vita, rende il professore, da depresso indifeso e ombroso, una belva assetata di emozioni, ma soprattutto immorale e decisa a godersi e a far perdurare un periodo decisamente positivo e vitale.

Woody torna alle atmosfere sature di cinismo e di arrivismo proprie di match Point, il suo film migliore, ed anche il suo più spietato ed innovativo, da un decennio, ma questa volta circostanze incontrollabili od eventi fortuiti finiranno per condizionare e compromettere i diabolici piani del nostro protagonista.

Saranno gli anni che avanzano a portare un fondo di saggezza o di ottimismo (ammesso che la condanna del colpevole possa considerarsi una soluzione ottimistica) che sopraggiunge penalizzando il crimine e decidendo in luogo della giustizia, dal momento che quest’ultima non riesce o non può risultare efficace?

Nell’anno del suo film “bello” (da un po’ di tempo Allen alterna quasi matematicamente un film ispirato ad uno decisamente più fiacco), il regista newyorkese centra l’obiettivo senza rinunciare alle sue ossessioni: l’amore di una persona matura per una donna che potrebbe anagraficamente essere la figlia, la giovane ninfa di turno (è capitato alla Johansson, ora è il turno del dittico con la Stone), bella certo, ma anche infinitamente logorroica.

La sceneggiatura è piuttosto brillante, come è plausibile aspettarsi dall’Allen più ispirato; le situazioni in cui sono coinvolti i tre/quattro protagonisti della vicenda, riflettono l’universo astratto, teorico e completamente al di fuori delle logiche concrete tipico di un mondo che si rifiuta di venire in contatto con la realtà spiccia di tutti i giorni: circostanza questa che rispecchia appieno, ormai da decenni, l’atteggiamento tendenziale dell’autore, notoriamente avverso di confrontarsi con tematiche più terrene e concrete, spicce e materiali, per restare ancorato nel mondo a lui più consono, ma ormai quasi scomparso dei teorici e degli affabulatori del nulla, quello evanescente di chi preferisce rinchiudersi nel proprio guscio ed affrontare, non senza ironia e pregevole senso dell’humor, situazioni e tematiche più da manuale psicanalitico che da specchio verosimile della società che ci circonda.

In questo mondo ovattato ed inverosimile che odora di naftalina, se Joaquin Phoenix ha le physique du role per interpretare al meglio il professore che passa dall’apatia della depressione agli scatti felini della belva ritrovata, e ostenta con fierezza un ventre sfatto che altri divi avrebbero insaccato trattenendo il respiro, ad Emma Stone, lolita infarcita di prosopopea asfissiante, preferiamo di gran lunga l’energica e vitale amante matura Parker Posey, collega concreta e diretta che avrebbe saputo evitare al collega di intraprendere un percorso ad ostacoli con qualche apparente soddisfazione ed un traguardo letteralmente destinato nel vuoto.

 

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